In Calabria venne impiccato dai Francesi il carbonaro Vincenzo Federici fomentatore di un moto liberale… era il 1813


 di Maria Lombardo 


Torrevetere 1813: l’antica caput Bruttiorum fu teatro di vicende umane sulla scena del Risorgimento Italiano, qui un palco di morte era stato preparato in un giorno di settembre, tra gli alberi acquatici che popolavano il colle. L’estate era appena terminata, ma non aveva ancora portato via i venti caldi delle sommosse del  Savuto. Un uomo, bianco di capelli, si avviava verso le forche innalzate durante il giorno, maledicendo la razza tirannide: “Che i Calabresi vendichino il mio sangue” e rivoltosi ai carnefice gli si offrì dicendogli: “Fate presto”. E così il suo volere fu fatto. Il Capobianco, giudicato ribelle e traditore, mai più avrebbe ‘cospirato contro il Governo della Provincia di Calabria Citra in unione di gente armata’. Per le strade della città né turbe, né moltitudini, ‘raro, ma non ignobile contegno del popolo’ dirà qualche tempo più tardi Luigi Maria Greco: nessuno aveva voluto assistere alla fine di un uomo che aveva rappresentato la lotta, la speranza, l’ideale della libertà. Ma chi era questo ribelle? ‘Solerte massajo’ dagli scarsi poderi, di non elevati studi, ma attore precipuo nel Savuto di inizio ‘800, Vincenzo Federici nacque ad Altilia nel 1772. Lo storico e letterato cosentino Luigi Maria Greco lo descrisse come uomo “di tempra gagliarda, di avvenente vigoria, ma grave e dagli occhi vividi e scintillanti; di vantaggiosa statura, sagacia e dirittura di giudizio; persuasivo nel ragionare. Era senza ambizione; obbediente co’ le autorità, ossequioso e senza bassezze co’ gli amici; cordiale, benevolo e senza superbia co’ gli inferiori; largo co’ i bisognosi; senza jattanza, insofferente però alle offese e pronto a punire di sua mano chiunque avesse osato offenderlo o provocarlo senza ragione”. Era soprannominato Capobianco a causa della precoce canizie iniziata quando non era ancora ventenne e che ne accentuò il fascino ed il carisma. Ribelle carbonaro, paladino della libertà e combattente nelle terre natie ed oltre, di indole impetuosa, ma tuttavia amante fedele e buon padre di famiglia, come si addice al calabrese per antonomasia. E proprio la Calabria vide nascere la prima vendita carbonara nel 1812, ad Altilia, un piccolissimo borgo che ‘aveva tolto il nome all’altura’ e che sotto la spinta del medico Gabriele de Gotti, si propagò a Cosenza e nei paesi limitrofi ed in seguito nel catanzarese. Uomo dal focoso temperamento che venne rubricato presso la Gran Corte Criminale di Cosenza per delitti comuni e quindi perseguitato con veemenza, prima della nomina a Capitano delle Guardie civiche del circondario, nomina conferitagli dal generale Manhès anche per distoglierlo dalla sua attività carbonara. Il generale, infatti, non annoverò Vincenzo Federici tra i briganti. Dopo la cattura fu subito nominata una Commissione militare che riunita nel Palazzo Mauro giudicò in tutta fretta il Federici. Il generale Manhès gli pose queste terribili domande: “Perché inalberasti stendardi di ribellione? Perché invitato con mio foglio non mi raggiungesti?”. Federici rispose: “Non so leggere”. Nominato d’ufficio un difensore nella persona dell’avvocato Gaetano Greco, che implorò una condanna di deportazione a vita, il Capobianco fu tuttavia giudicato colpevole di ribellione e tradimento. Il Relatore della Commissione militare, alla lettura della sentenza commosse le milizie e dispose anche che il fisco si sarebbe dovuto impossessare dei beni del condannato e che, ma questa è una parte controversa, l’intera famiglia del Federici ‘avrebbe avuto bando dal reame’. La sera del 26 settembre alle falde del colle Vetere, ‘vecchio’ sito romano e via d’accesso alla città per chi proveniva dal Savuto, il Capobianco fu giustiziato. Scrisse Luigi Maria Greco: “La notte viene vinta da innumerevoli fari che illuminano l’oscuro luogo nel quale il triste sacrifizio fu appieno consumato, col ridursi in cenere quelle misere spoglie e col disperdersi quelle ceneri al vento”. Tutti i traditori di Federici furono in seguito uccisi dai Carbonari e la commemorazione del Capobianco fu celebrata nelle vendite d’Italia. Questo è quanto scrive uno dei massimi storici locali eppure la pronipote di Capobianco afferma che vi siano inesattezze.

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