Longobucco (CS) rinomata per la pregiata fattura dei suoi tessuti



 di Maria Lombardo

Abilissime, le longobucchesi tessevano i loro proverbiali corredi, con elaborate lavorazioni a rilievo, e disegni originali. “Cuverte chi nun hannu li mercanti, – canta una canzone popolare longobucchese – bellizze chi nun ha mancu lu sulu / haju giratu da Napuli avanti: cuverte cume cchiste un ci nna sunu!”.La bravura di queste tessitrici cominciò a farsi conoscere fuori regione quando, nei primi dieci anni del ‘900, l’etnografo Lamberto Loria iniziò a raccogliere nella sede fiorentina di via Coletta 2 dell’allora Museo di Arti e Tradizioni popolari, manufatti che sarebbero stati inclusi nella prima Esposizione internazionale di Roma del 1911, ebbene si cari lettori nella mia carriera universitaria ho studiato bene quella mostra. Lo stupore suscitato dalla bellezza di quei lavori femminili veniva così descritto dal folklorista di Cetraro Giovanni De Giacomo: “Quando le coperte di Longobucco, nel 1909, furono tratte fuori dalle casse, alla luce del sole, in via Colletta, nella patria di Dante e di Giotto, qualcuno esclamò: ma dov’è codesto Longobucco? Codesta terra benedetta dove le fate, che non sanno di alfabeto e di disegno, traggono tanta varietà di colori? E fu un correre e ammirar”. A partire dalla metà degli anni’20, questa particolare sapienza venne messa a punto da un imprenditore lungimirante, Eugenio Celestino, che attorno a quelle mani femminili che lanciavano la spoletta e a quei piedi che muovevano i pedali, seppe ideare una “trama” più ampia e ambiziosa. I tessuti di Longobucco uscivano così dalle cassapanche da corredo tenute in camera da letto e lasciavano le montagne della Sila Greca per mostrare al mondo le loro bellezze: alla Fiera di Parigi nel 1926, dove la ditta Celestino riceve un diploma al merito, in esposizione a Capri, tra le mani del Maestro Menotti al primo Festival dei Due Mondi a Spoleto, sulla passerella delle sorelle Fontana a Roma, arrivando persino a vestire le curve sinuose dell’attrice americana Ava Gardner.  Tutta la tradizione parte dall’usanza magno-greca del corredo, ce ne danno testimonianza i pinakes di Locri denominati ‘Perfesone apre la cesta mistica’ e ‘Offerta del corredò. Un tempo il corredo era d’obbligo. Al momento del fidanzamento la famiglia della ragazza era tenuta a dichiararne l’entità. Doveva essere costituito da un minimo di sei pezzi, o multipli di sei, per ogni articolo. Questa usanza secolare, impegnava molta mano d’opera, un lavoro che si sviluppava durante tutto il corso dell’anno. La particolarità del tessuto longobucchese è la sua lavorazione, che prevede oltre all’intreccio tra trama e ordito, l’immissione manuale di un terzo filo che attraversa orizzontalmente il lavoro. Per guidare la tessitrice, si utilizzano dei modelli con una sorta di trafilatura a quadretti, che in dialetto si chiamano nziambri. Da questi prendono vita i disegni, allegorie beneauguranti, animali mitologici, cervi, tralci e pampini, il fiore di Santa Filomena, la catena stellata, U puntu eru Juriciu, il punto del Giudice, ideato, si dice, da una donna che chiedeva la grazia per il marito accusato ingiustamente. Abbiamo poi la tecnica ‘a trappigna’, la tecnica ‘con i piedi’, e il tipico metodo a pizzuluni, nel quale i motivi a rilievo si ottengono utilizzando appositi ferretti.

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