IL sequestro Falcone e De Simone vescovo di Nicotera…Ciccilla e Pietro Monaco


 di Maria Lombardo

Maria o Marianna Oliviero detta, Ciccilla, sposò Pietro Monaco. Questo suo matrimonio era stato preceduto da una tragedia. Il Monaco aveva già sposato Concetta Oliviero, sorella di Ciccilla, ma le sue attenzioni erano per Ciccilla non per la moglie. Ma Ciccilla ,folle di gelosia, attrasse in inganno la sorella in casa e la uccise a colpi di accetta. Le 37 accettate furono il suo battesimo di crudele brigantessa. Ella, infatti indossò subito vestiti maschili da brigate e seguì il marito compiendo, con lui, uccisioni, rapine e sequestri di persona a scopo di riscatto. Tra l’altro, il Monaco, col sostegno della nuova moglie decise di sequestrare alcuni membri di una ricca famiglia di Acri, i Falcone. I due, col concorso della loro banda, fecero il colpo nel settembre del 1863. Insieme con i Falcone sequestrarono anche il vescovo di Nicotera e Tropea, De Simone, ed il canonico Benvenuto. Ma inseguiti da una truppa della Guardia Nazionale e da un gruppo di Squadriglieri, probabilmente sovvenzionato dai Falcone, dovettero portarsi dietro gli ostaggi per due mesi. La Famiglia Falcone per salvare la pelle ai congiunti sequestrati, pagò, in più rate, 16 mila ducati, oltre ad armi e orologi d'oro. Sicuramente avrebbe pagato anche di più se la prigionia si fosse protratta ancora. Intanto, approfittando di uno scontro a fuoco fra briganti e truppa ,i due religiosi riuscirono a fuggire. Poco dopo anche i Falcone furono rilasciati dai briganti per favorirsi la fuga. E mentre il Vescovo ed il Canonico ringraziavano il Cielo per averla scampata bella, i Falcone, per farla pagare a Monaco, fecero sapere in giro che avrebbero ben pagato chi avesse consegnato la testa del brigante. Nel dicembre di quello stesso anno, Marrazzo, Celestino e De Marco, uomini della stessa banda di Monaco, si presentarono a casa Falcone e dissero che, se avessero avuto del veleno, avrebbero assassinato il capo. Avevano scelto l'arma dell'inganno femminile, perchè non se la sentivano di alzare apertamente la mano contro Pietro; con un tipo come quello correvano il serio rischio di rimetterci la vita. I Falcone fornirono loro della stricnina, ma il maldestro tentativo di omicidio andò a vuoto. I tre gaglioffi non seppero avvelenare bene l'acqua da far bere al loro capo. I traditori, quindi, dovettero passare a metodi più spicci e una notte gli tirarono due colpi mortali al cuore mentre era addormentato, in una vecchia casella per l'essicazione delle castagne, accanto a Ciccilla che, abbracciata al suo uomo, rimase ferita al braccio sinistro. Contemporaneamente uccisero un altro componente della banda, Giacomo Madeo, tagliandogli la testa. Quindi, fuggirono via portandosi dietro il macabro trofeo del loro ex-compagno. Quella testa tagliata fu poi esposta, per molti giorni, nel punto in cui i Falcone erano stati sequestrati. Ciccilla, però, non si arrese. Preparò la catasta di legna per bruciare il corpo del marito, come si usava fare per i briganti uccisi in combattimento, assunse il comando della banda e tenne la campagna per altri 47 giorni, sperando di avere a tiro di schioppo i traditori. Ma non fece in tempo a compiere la sua vendetta. Circondata da un reparto del 58° fanteria comandato dal capitano Dorna, mentre era rintanata in una grotta impervia, dovette arrendersi. Catturata, arrestata e rinviata a giudizio, fu processata e condannata a morte dal tribunale di Catanzaro. La pena capitale le fu commutata in quella ai lavori forzati. Sulla sua fine si hanno notizie incerte e discordanti. Secondo un'annotazione manoscritta sul retro di una fotografia segnaletica, Ciccilla fucilata, secondo un'altra annotazione le furono inflitti quindici anni di galera. La gente di Calabria cantava: "la fimmina di lu brigante Monaco murìu, lu cori comu na petra ‘mpttu tinia". Comunque sia fece una fine degna di lei. Quanto a gli assassini di Pietro Monaco furono portati in trionfo per tutti i paesi della Sila ed alcuni amministratori invitarono i proprietari più facoltosi a fare una colletta per i "pentiti". Una procedura inusuale, che fece scalpore e provocò la reazione delle autorità centrali. Quei denari servirono a poco.Marrazzo, Celestino e De Marco, non ostante tutto, furono arrestati e processati, ma la condanna a loro inflitta fu mite

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