La leggenda del tesoro di Alarico


 di Maria Lombardo

Deriva soprattutto da questo racconto risalente al 550 d.C. dello storico gotico Jordanes: «Alarico, colpito da morte improvvisa, uscì dalla scena del mondo. I Goti, piangendo per il grande affetto, deviano dal suo corso il fiume Busento, presso la città di Cosenza. Infatti qui il fiume, sceso dal piede del monte presso la città, scorre con onda pura. Dunque, raccolta una schiera di prigionieri, scavano il luogo della sepoltura in mezzo all’alveo, nel grembo del quale seppelliscono Alarico con molte ricchezze, e di nuovo riconducendo le acque nel loro alveo, perché il punto non fosse riconosciuto da qualcuno, uccidono tutti gli scavatori…».Da allora in molti, colpiti dall’accenno al favoloso tesoro che comprendeva anche l’oro del saccheggio di Roma, ben presto ciclicamente si dedicarono alla ricerca. Ettore Capecelatro, divenuto governatore di Cosenza, nel 1747 organizzò con grande dispendio di uomini e mezzi una vera e propria campagna di scavi che però non ebbe risultati. Nel 1835 Alessandro Dumas, in viaggio in Calabria, traccia un bel quadro della cosiddetta «febbre d’Alarico» che colpiva i cosentini, vittime peraltro in quei giorni anche di un terribile terremoto: «Questa via conduceva alla riva del Busento, dove, come si ricorda, fu interrato Alarico; il fiume era completamente prosciugato, e l’acqua era scomparsa, senza dubbio in qualche voragine che s’era aperta tra la sorgente e la città. Vedemmo nel suo letto disseccato una folla di persone che faceva degli scavi sulla autorità di Jordanes, che racconta i ricchi funerali di questo re. Ogni volta che lo stesso fenomeno si rinnovella si fanno gli stessi scavi, e ciò senza che i sapienti cosentini, nella loro ammirabile venerazione per l’antichità, si lascino mai abbattere dalle delusioni successive che hanno provato».La «febbre di Alarico» colpì quindi, sul finire degli anni Trenta, la francese radioestesista Maria Amelie Crevolin. La studiosa, sulla base di un’analisi approfondita della carta topografica della zona e applicando le sue facoltà di teleradioestesista ad un pendolo magnetico, ritenne di aver individuato nella zona di Vadue, a pochi chilometri da Cosenza lungo la valle del Busento, il punto esatto della tomba di Alarico.Gli scavi giunsero alla profondità di circa otto metri ma portarono alla luce solo qualche resto di scheletro umano. Nel 1938 il capo delle SS Hainrich Himmler, sulla base delle notizie che davano per imminente il ritrovamento della tomba del re barbaro, visitò Cosenza e la zona di Vadue ma presto si rese conto dell’infondatezza delle notizie e tornò deluso in Germania.Gli ultimi tentativi, andati a vuoto, risalgono al 2015 quando, sempre nella zona di Vadue con il consenso del sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, e della Provincia e preceduta da un gran battage pubblicitario, è stata avviata una campagna di scavi.


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