I Reali d’Italia accorrono nello Stretto dopo il terremoto del 28 dicembre 1908.

di Maria Lombardo


Tiene ancora banco la questione delle ossa dei reali Savoia rientrati in Italia dopo 70 anni. La questione tiene banco però tra i neomeridionalisti che di conoscere la storia proprio non ne vogliono sapere! Che la storia abbia dato un giudizio pessimo su Vittorio Emanuele III siamo tutti daccordo ma sulla figura della Regina Elena le cose sono ben più articolate e lontane anni luce dai loro sproloqui. Il 28 dicembre 1908 allalba lo Stretto di Messina viene sconquassato da un terribile sisma. Rase al suolo Messina e Reggio Calabria! Avvisati i reali a Roma arrivarono nello Stretto  il 30 dicembre quella mattina la visione della catastrofe atterrirono i Reali Savoia. I Sovrani scesero dalla Vittorio Emanuele e su una feluca fecero un giro sulle due sponde per osservare il dramma, subito dopo risalirono sulla Vittorio Emanuele. Con i reali nel porto di Messina attraccarono la Campania, la Lombardia e la Marco Polo, Elena del Montenegro aveva 35 anni e decise che la nave Campania doveva divenire una nave ospedale smise gli abiti regali e indossò luniforme da infermiera, , si diede subito da fare, soccorrendo, curando, lavando e confortando i numerosissimi feriti, anche moribondi, che arrivavano a bordo. Il suo esempio dava a tutti i medici e gli infermieri un'ulteriore spinta a occuparsi con abnegazione dei nostri poveri fratelli, caduti di colpo in così terribile rovina e miseria. Vittorio Emanuele III con i suoi ministri decise subito di scendere sul campo ad attenderlo il Sindaco della città Gaetano D’Arrigo per nulla intimorito, si rivolse al sovrano dicendo che l'aiuto era giunto ai messinesi dai russi, e non dagli italiani. Il re lo interruppe dicendo "E lei si fa vivo adesso che tutto è finito?". Infatti poco prima il prefetto della città, Trinchieri, gli aveva comunicato che il sindaco era scappato, preso dal terrore, e per un giorno si era reso irreperibile. I Russi come più volte ho spiegato in questo ed in altri blog giunsero per primi poiché sostavano ad Augusta e fu più facile giungere prima. Il Re destituì D’Arrigo sia per la fuga e poi per la critica poco calibrata.    Subito dopo il corteo delle autorità si incamminò fra le rovine, e tutti apparivano fortemente colpiti dallo spettacolo atroce che si presentava loro, dalla quantità di salme riunite subito sotto le rovine, dalle macerie che, a montagne, ingombravano le strade. Sulle macerie si muovevano, instancabili, i soldati e i volontari. Inglesi, russi, italiani: tutti si prodigavano senza riposo per salvare quante più vite umane si potesse. Orlando piangeva in continuazione, mormorando "È troppo...". Anche Vittorio Emanuele, in genere compassato e riservato, era visibilmente commosso, e aveva le lacrime agli occhi. Abbracciò, scosso dai singhiozzi, un povero e lacero ragazzino, attonito e terrorizzato. I Russi stessi ebbero il primato di riprendere quella catastrofe e quando il Re si fermò accanto alle vittime sconvolto da quella apocalisse  il sovrano fece inviare un telegramma al presidente Giolitti (che non si fece vedere a Messina per parecchi mesi) con la famosa frase, che scosse gli animi in Italia e nel resto d'Europa. "Qui c'è strage, fuoco e sangue: Mandate navi, navi, navi e navi". Il re rimase in Sicilia e in Calabria fino al 3 gennaio, segno del suo interessamento a che tutto scorresse nel migliore dei modi. Visitò tutti i centri, anche i più piccoli, e con la sua presenza rianimò non poco la popolazione, e impresse forza e velocità nelle opere di salvataggio e di ordine pubblico. Il 2 gennaio decretò lo stato di guerra decreto affermava che la situazione fosse ''per certi versi identica e per altri piu' grave di quella che si verifica in territori in stato di guerra". Torniamo alla Regina che rimase sulla Campania ad organizzare l’ospedale si trasferì sulla nave Regina Elena a lei dedicata. Anche lì era stato organizzato un piccolo ospedale, e i salvati dalle macerie venivano curati e confortati. Un giorno un tizio, esaltato e quasi pazzo, riesce a salire sulla nave. Gridava: "È il finimondo! La terra s'inabissa! Si salvi chi può...". Forse lo stesso movimento della nave aveva scatenato questi assurdi timori. A queste parole una donna ferita che giaceva febbricitante in un letto si alza con l'intenzione di buttarsi in mare. La regina, che era presente alla scena, le si para dinnanzi a braccia distese, bloccando la porta d'uscita sul ponte. La poveretta si lancia a testa bassa contro il petto e la testa di Elena, che stramazza al suolo con la bocca insanguinata. L'incidente per fortuna non ebbe conseguenze per la sovrana, ma testimonia quei giorni di follia e di esasperazione. A Messina era difficile attraccare una nave carica di bersaglieri rimase bloccata per un giorno . I bersaglieri però non potevano sbarcare, portando con sè il notevole materiale di soccorso: mancavano le scialuppe. Alla fine l'aiutante maggiore Morozzo riuscì a convincere i russi, che arrivarono con le loro lance e fecero sbarcare le truppe italiane! Subito i bersaglieri si misero alla ricerca di superstiti e per due giorni i loro sforzi furono impiegati solo al salvataggio solo poi a seppellire i morti. Senza protezione alcuna ne disinfettanti come i soccorritori che giungevano preparati da ogni luogo i bersaglieri tentarono di salvare più vite possibili. Attanasio: "Quando si udiva un gemito, quando si credeva di aver sentito un lamento, cominciava il lavoro febbrile ma prudente di scavo. Sotto muri pericolanti, con le rovine che tremavano. Bisognava spostare grossi massi, travi, sfondare pareti e pavimenti, scavare buche, togliere mattoni, calcinacci, masserizie infrante. Poi, finalmente, la fatica del soccorritore veniva premiata dall'apparizione di un braccio, di una gamba. Si tiravano i corpi gonfi, incollati alle lenzuola, alle coperte. Con croste dovute alla sanie, al sangue, al pus. I soldati sfilavano con il macabro carico delle barelle dalle quali penzolavano cenci, braccia, gambe putrefatte"."Quando si tiravano fuori persone ancora in vita, avevano gli occhi gonfi, le palpebre tumefatte, la bocca riarsa, piena di terriccio. Le sole parole che pronunciavano era "Haiu siti". Domandavano di bere e di morire." Le isole Eolie erano rimaste quasi indenni, senza alcuna vittima. Solo parecchie abitazioni erano lesionate.    Una prosa sconvolgente, rabbrividente: questo è il seguito di ogni grave terremoto, e quello di Messina e Reggio era il prototipo di ogni terremoto. Il terremoto dei terremoti, come titola un libro sull'argomento. Messina non dimenticò l’operato della Regina a largo Cesare Battisti si erge una sua effige in veste da infermiera inaugurata solo negli anni ’60 pagata con i fondi del Settimanale la Settimana Incom illustrata  Il 31 dicembre sera, al finire di quell'anno che si era concluso inopinatamente in modo dolorosissimo, una nave (l'Ophir, dell'Orient Line) venne bloccata da una torpediniera, mentre tentava di procedere senza fermarsi dopo l'invito ricevuto. A Reggio fu costretta ad imbarcare 230 feriti e mille profughi.


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