Il cruento brigante calabrese: Francesco Moscato alias "Vizzarro"
di Maria Lombardo
Su Francesco Moscato, temibile e terribile brigante calabrese
aleggia un fitto mistero, detto “u Vizzarru” il bizzarro per il suo carattere
arcigno e avvolte crudele. Di Vazzano originario col passare degli anni si
dimostrò di una forte personalità e di uno spirito gagliardo ed indomabile
umore aspro e indole capricciosa con tali parole lo sintetizza Sharo Gambino
autore del testo Vizzarro.
La lettura integrale dell’opera di Gambino Vizzarru casa
ed.Frama di Guardavalle Centrale 1981 ha illuminato maggiormente le mie
conoscenze sul fenomeno del brigantaggio calabrese sia del periodo napoleonico
che postunitario. Lo scrittore abile ed esperto giornalista ha affrontato
saggiamente la storia del brigantaggio calabrese, interviene a questo punto una
delle frasi più celebri e ricorrenti dell’opera Vizzarru :” considerato il più
feroce, e romantico del tempo capace di ostacolare in Calabria il governo
illuminato dei francesi”. Le notizie sul brigante a conti fatti vengono attinte
dalla tradizione popolare emerge una figura spietata che seppe ergersi a rango
di brigante più famoso e ricercato nel territorio calabrese. Aveva una salute
di ferro, nemmeno il vaiolo dopo il terribile sisma del 1783 lo uccise, forte e
vigoroso desiderava avere un salario ed una mattina si recò a bussare alla
porta della facoltosa famiglia De Santis, per svolgere il lavoro di “bravo”
esattore delle loro proprietà. Armato di carabina e pugnale u Vizzarru iniziò
l’attività ed in poco tempo divenne il fedele servitore di De Santis che lo
promosse a capobanda. Francesco girava per le terre con due mastini, ben
addestrati, alto bello e robusto entrò nelle grazie di Donna Felicia sorella di
De Santis, ma il dispotismo dei fratelli la relegarono in una conditio di
zitella perpetua pur di non dividere i terreni. Maturò in Felicia l’idea di
iniziare una tresca col Moscato, maledisse i fratelli si strappò i capelli e si
vietò di mangiare, sembrò che si fosse ripresa ed al monito del fratello di
seguirlo a Monteleone lei accettò per via della scorta del giovane brigante.
Contegnoso per non tradire i suoi padroni rifiutò la donna tuttavia lei non si
diede per vinta e mentre il Cardinale Ruffo spargeva subbugli per Monteleone
lei si sentiva in una botte di ferro. Sebbene la carne è carne Moscato cadde in
tentazione e vi fu una relazione con la baronessa. Scoperti dai De Santis
ordirono una congiura ma sventò, il nostro brigante continuò la sua attività ma
si apprestò al contrabbando di sale ed inoltre si aprì una taverna. Narra la
storia ancora che la nobildonna Vazzanese ebbe un figlio da lui che le fu tolto,
il Vizzarro recatosi a saldare i conti con Cataldo De Santis non riuscì a
colpirlo, mentre il barone lo ferì duramente ed in una pozza di sangue lo
trasportarono per seppellirlo. Tuttavia la falsa condizione di morte lo fece
fuggire indispettendo i baroni di Vazzano, che taglieggiato lo condussero al
carcere di Pizzo,di lui è famosa la frase:” cu hava sordi e amicizia vacia in
culu alla giustizia”. Frattanto il Bizzarro sconta la sua pena mesi e mesi di
carcere interviene a questo punto la professoressa Di Capua nella sua opera I
Briganti della Calabria e annota :”appena graziato abbandonò il forte di
Crotone (…) e si arruolò”. Iniziò così il suo percorso tra le fila borboniche
coraggio ed intelligenza le parole chiave, la stessa Regina si fidava molto di
Cicciu Moscato tanto da regalargli un anello come perno di rispetto. Il
Vizzarru era spietato doveva a tutti i costi difendere il suo onore trucidando
contro i De Santis, e così fece iniziando a rastrellare ogni parente a loro
vicino. Intanto la guerra perseverava ed i francesi posero sul suo capo 50
ducati, altrettanti a chi catturava ed uccideva il suo fedele cane Cristiano.
Tuttavia il suo pensiero fisso rimaneva trucidare Don Cataldo suo acerrimo
nemico, e lo scovò la mattina della festa del Rosario del 1808 in chiesa. Il
Bizzarro entrò in Chiesa tutti tremavano per la paura invitando i fedeli ad
uscire tranne tre persone, i De Santis furono annientati e Felicia fuggendo con
lui coronò il suo sogno d’amore. Fuggi a conti fatti nel bosco di Rosarno con la
sua donna e braccato dai francesi senza farsi mai trovare. Interviene a questo
punto della storia il mito e la leggenda si racconta che ogni anno Ciccio gli
facesse fare un figlio e poi puntualmente uccideva visto la sua condizione di
latitante. Sebbene i francesi riuscirono a braccarlo ed a far arrestare
Felicia, si salvò miracolosamente fuggendo nelle tenebre. Intanto le truppe
francesi sbaragliarono i briganti con tutti gli stratagemmi possibili, il
Moscato ritornò nuovamente nel bosco di Rosarno proprio all’albero del
colonello portando con sé Nicolina Ricciardi che divenne sua concubina, ma
stanca dei continui sopprusi una notte sparò un colpo di carabina al brigante e
lo freddo all’età di 36 anni. La testa del Vizzarro girò le piazze come monito
.
“Caru baruni tu sbajiasti via;
mi pigghiasti pe muortu e sugnu vivu,
mi pensavi luntanu e ssu ccu ttia.
Eccu ca vinni l’ura mu aggiustamu la faccenda”.
mi pigghiasti pe muortu e sugnu vivu,
mi pensavi luntanu e ssu ccu ttia.
Eccu ca vinni l’ura mu aggiustamu la faccenda”.
Commenti
Posta un commento
Dimmi cosa ne pensi!