I Martiri di Catanzaro: Ferdinando I di Borbone manda al patibolo i Carbonari di Catanzaro.


 di Maria Lombardo 


 

Con la Restaurazione torna al Governo delle Due Sicilie il casato Borbonico sostenuto dai nobili mentre contro i priviligi della casta si contrapponevano gli intellettuali e i professionisti nutriti di ideali di libertà e di giustizia e ancora tutti coloro che col codice napoleonico avevano approvato l’abolizione del feudalesimo, l’introduzione equa delle imposte fondiarie e una riforma scolastica meno elitaria. Le Calabrie invece erano terre ricche di contraddizioni! La legge del 2 agosto 1806 relativa all’eversione della feudalità sebbene avesse eliminato abusi e soprusi legalizzati riconoscendo la sovranità dello Stato, aveva fatto sì che i proprietari pleno iure amministrassero le loro terre in autonomia lasciando così la situazione socio-economica preesistente. I Barracco e i Compagna erano tra i più ricchi del regno con migliaia di capi di bestiame e i De Nobili, baroni di Simeri, con Emmanuele, gran ciambellano del Murat, avendo comprato il 40% degli immobili della Chiesa tra cui la grangia di Sant’Anna (1363 tomolate di terra) 60 fondi e 25 predi urbani avevano ampliato il latifondo. Poi vi era il popolazzo i senza pane e senza terra  esclusi di fatto da tutti i diritti umani e giuridici. In città a molti mancava l’essenziale e si sopravviveva di sottoccupazione in una realtà igienico-sanitaria priva di norme, tanto per fare un esempio lo spiazzo della Vallotta a Catanzaro era un ricettacolo di acque torbide che davano origine a stagni putridi abitati da serpi e rane e la condizione era così continua che si tramandò scorresse un ruscello dovuto, forse, anche all’affiorare di acque sotterranee. La viabilità della regione si limitava alla strada Napoli-Reggio Calabria che comportava dodici giorni di viaggio, da Catanzaro dieci e si partiva da Tiriolo, da Cosenza otto. Un clima davvero obsoleto che provocò molte rivolte e malcontento, i giovani quelli che potevano studiare si portavano a Napoli e qui le Università si facevano divulgatrici di un nuovo credo e con nuove idee.Si formavano così le prime società segrete. Furono proprio alcuni calabresi come Michele Morelli di Monteleone e i fratelli Pepe di Squillace a promuovere la prima insurrezione (1821) di un reparto di cavalleria che indusse il sovrano, figura ambigua a concedere la costituzione sul modello di quella spagnola del 1812 che pur lasciando il potere esecutivo nelle mani del re, ribadiva che la sovranità spettasse alla nazione per mezzo del Parlamento. L’esperienza fu di breve durata e per trenta rivoltosi, tra cui lo stesso Morelli,fu allestita la forca in piazza Mercato a Napoli.In Italia la setta si basò su valori e sentimenti che caratterizzarono il Risorgimento: combatté per la Costituzione e la cacciata dello straniero senza auspicare ad un’unità nazionale. La sua peculiarità nel sud fu quella di avere iscritti provenienti da ogni ceto sociale, dai nobili ai proprietari, agli intellettuali, ai sacerdoti, ai ceti medi, ai contadini, ai servi.  Detto questo vediamo cosa successe a Catanzaro, si iniziava a capire che la Carboneria era attiva in città e provincia. Ed ecco che l’8 giugno 1822 si parlava di una sommossa con riferimento a Giovanbattista De Gattis di Martirano È da precisare che il De Gattis mirava a colpire ingiustamente gli abitanti di San Mango che esercitavano diritti civici sui territori limitrofi a fondi di sua proprietà estorti al legittimo intestatario, il duca di Laurito. Infatti il malvagio in data 12 luglio 1822 confessava che da una persona degna di fede aveva sentito che nelle città di Catanzaro e Cosenza e in altri luoghi della regione sarebbe seguita una rivolta finalizzata ad assassinare le persone attaccate al sovrano, a liberare i detenuti dalle prigioni e a proclamare un nuovo governo. La cospirazione sarebbe stata formata da uomini facinorosi abbandonati ad ogni forma di vizio lusingati di costruirsi una nuova vita. Così menzionava Raimondo La Rosa di Mesoraca e Michele Orlando i quali fuggiti su due muli erano stati visti dirigersi per diffondere il programma rivoluzionario.Raffaele Poerio rientrato da Napoli, nella casa di Giovanni Scalfaro alla presenza dei più arditi carbonari aveva parlato di una prossima sommossa allargata dai patrioti della Lucania e del Salernitano. Dalle voci che si diffondevano il Governo ordinò un’inchiesta dando pieni poteri al Generale Gaetano Pastore prima soldato napoleonico e poi accanito borbonico, questi andò ad abitare a palazzo Salzano dove dodici anni prima era stato il famigerato Manhes al servizio di Murat, i due erano accomunati nella conduzione disumana e spietata delle indagini, in data 16 marzo 1823 si riunì una Commissione Militare che operò fino al giorno 24 dello stesso mese (9 giorni). Fu chiamato come uomo di legge il procuratore generale del re presso la Corte Criminale Raffaele d’Alessandro.

 

Gli imputati furono:

 

 

 

1. - Francesco Monaco di Dipignano (nato nel 1789) fu Bartolomeo e di Orsola Manfredi, proprietario di anni 32;

 

2. - Giacinto de Jessi di Gaetano e di Irene Giordano (nato nel 1793) di Catanzaro, patrocinatore di anni 30;

 

3. - Alessio Berardelli di San Mango di Francesco e Giovanna Spagnuolo, di anni 28, proprietario;

 

4. - Francesco Berardelli di San Mango, di Alessio e Agnese Berardelli, falegname di anni 60;

 

5. - Domenico Berardelli di San Mango, di Alessio e fu Agnese Berardelli, bracciante di anni 40;

 

6. - Rosario Berardelli di San Mango, di Paolo e di Agata Sposato, massaro di anni 48;

 

7. - Antonio Berardelli di San Mango, fu Alessio e fu Agnese Sposato, falegname di anni 26;

 

8. - Gaspare Sposato di San Mango, di Samuele e della fu Antonia Ferrara, di anni 63 sacerdote;

 

9. - Antonio Angotti di San Mango, (nato nel 1791), fu Francesco e Teresa, proprietario di anni 32;

 

1- - Giuseppe Ferrara di San Mango, fu Pasquale e Carmina Fraiacopo, parroco di anni 56;

 

11- Francesco Saverio Muraca di San Mango, fu Angelo e fu Teodora Manfredi, medico di anni 61;

 

12- Carmine Muraca di San Mango, fu Angelo e fu Giustina Guido, massaro di anni 60;

 

1  - Raffaele Renda di Catanzaro, fu Antonio e di Maria Giuseppa Cosentino, sarto di anni 27;

 

1  - Luigi De Pasquale di Catanzaro, di Ignazio e di Maria Antonia Papaleo, studente di legge di anni 24;

 

1  - Odoardo Marincola di Catanzaro, di Antonio e della fu Teresa Sanseverino, nato nel 1792 proprietario di anni 31;

 

1-- Cesare Marincola di Catanzaro di Antonio e della fu Teresa Sanseverino nato nel 1789 proprietario di anni 34;

 

1-- Giovanni Marincola di Catanzaro di Antonio e della fu Teresa Sanseverino nato nel 1801, legale di anni 22.

 

 (Archivio di Stato. Processi Politici Busta 2 fascicoli 3 – 4). 

Il dibattimento del processo fu breve, si ascoltarono 61 testimoni su 88 e non fu necessario il giuramento, i testimoni furono trattenuti nelle carceri perché non venissero influenzati a ritrattare e dire la verità.Sono andati perduti gli interrogatori tranne due riportati da Cesare Sinopoli: Salvatore C. cafettiere, asseriva di essere stato iscritto alla società il cui capo sezione era Luigi Pascali mentre le altre sezioni erano coordinate da Scalfaro, De Iessi e Veraldi. Gaetano C. beccaio, allungava la lista degli iscritti con altri nomi: Filippo Pucci, Giuseppe Caporale, Gennaro Scarfone, Domenico Ubriatico, Vitaliano Critelli, Giuseppe Martino, Vincenzo Cimino, Antonio Pupo, Salvatore Scorza, Giorgio Caloiero, Raffaele Elia. La sentenza pronunziata giorno 24 marzo lunedì Santo fu dura e iniqua. Monaco, Pascali, De Iessi, considerati accaniti propagandatori dell’attentato al Regno ebbero la pena capitale. Il primo col terzo grado di pubblico esempio, gli altri due con l’aggiunta di una multa di mille ducati. Renda e Ferrara ventiquattro anni al terzo grado dei ferri, Sposato, Angotti, Carmine Muraca e i cinque Berardelli a diciannove anni sempre al terzo grado dei ferri, con una multa di 500 ducati, il medico Francesco Saverio Muraca la libertà provvisoria. Odoardo Marincola fu graziato con la clausola di risiedere sotto sorveglianza a Napoli e così Cesare dietro una speciale garanzia di 5.000 ducati secondo quanto stabilito dall’Intendente di Catanzaro.I catanzaresi vissero la settimana santa con sofferenza e dolore, certi dell’innocenza degli eroi. Il clamore delle due Calabrie giunse fino a Vienna ove si trovava il sovrano Ferdinando I il quale messo alle strette dagli interlocutori inorriditi di quanto accaduto, diede ordine che tutti gli atti fossero revisionati da una Commissione formata dal Presidente Antonio De Blasio (calabrese di Castelvetere, oggi Caulonia) e da due vice presidenti Paternò e Marrano. Il processo era stato retto da calunnie e abusi. Rimase l’indignazione. E così si “conchiudeva” uno dei momenti più tristi della nostra città che i libri di storia omettono ma che è una pagina elevata di nobili ideali, sofferenze, di morte, i cui protagonisti, fra speranze e sconfitte, hanno inciso profondamente nella formazione della coscienza civile della nazione: il Risorgimento.


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