L’Unità d’Italia voluta dai Calabresi: il Rossanese Vincenzo Greco


 

di Maria Lombardo 


Vincenzo Greco nell’800 è stato un rivoluzionario rossanese, caduto nel dimenticatoio oggi desidero riportarlo agli onori della storia. Ebbene il liberale di Rossano nel cosentino ebbe un ruolo importante negli avvenimenti del 1848 e nella lotta alla tirannide borbonica. Nato nel 1809, aveva tre fratelli, Raffaele, Benedetto ed Eloisa ed era sposato con Serafina Palopoli. In realtà, però, il vero matrimonio l’aveva contratto con la rivoluzione alla quale aveva votato anima, corpo, affetti e averi, in un’epoca di assolutismo tirannico come quello vigente sotto Ferdinando II. La passione politica lo portò ben presto a Napoli dove frequentò gli ambienti liberali, iniziando così la conoscenza delle carceri borboniche. Ma fu il 1848 che lo vide grande protagonista. Descritto dai giudici borbonici come il male assoluto. Ma per Greco quelle parole contro lui sarebbero state lette come dei meriti per aver avuto, in un’epoca di oscurantismo per i diritti civili e politici, la lungimiranza di fare il bastian contrario, precorrere i tempi e lottare per la libertà contro la tirannide. Aggiungerei quanto ci dice Gaetano Grimaldi, Procuratore Generale del Re presso la Gran Corte Criminale e Speciale della Calabria Citeriore, il 13 novembre 1851 firmò l’atto di accusa contro circa 140 imputati per i fatti del 1848. In tale documento, quando parla della cospirazione dei rossanesi, dopo i nomi di Saverio Toscano e Domenico Palopoli, aggiunge subito quello di Vincenzo Greco, descritto in modo lapidario come “giovane pessimo sotto tutti i rapporti”, mentre per gli altri cospiratori si limitò a un giudizio cumulativo: “tutti anarchisti”. Mentre gli altri cospiravano in segreto riunendosi a palazzo Smurra, Vincenzo cospirava apertamente e la polizia borbonica così scriveva:”Vincenzo Greco, “uomo immorale ed anarchico”, “il quale volendo primeggiare sul popolo in aprile del sopradetto anno (1848) fece de’ manifesti che affisse al pubblico dichiarandosi protettore dello stesso, ed assicurandoli che si sarebbero divisi i terreni comunali”. A Napoli si formava perché centro del fermento rivoluzionario ma tornato a Rossano“allarmavano la popolazione con delle notizie esagerate, facendo di tutto per promuovere la ribellione..”. Addirittura Vincenzo Greco, insieme a Vincenzo Pettinato, “imperversando sempre più nelle loro idee anarchiche, nel giorno 4 giugno (1848) salendo uno dopo l’altro sopra di una sedia nella piazza Steri, ed arringando al popolo facevano al medesimo conoscere che il Re era un tiranno, un avvelenatore, un bombardatore, e concludevano di doversi distruggere, eccitando in tal modo la popolazione alla ribellione e ad armarsi contro l’Autorità Reale”. Ed ecco che a Rossano compaiono dei manifesti che accusavano le famiglie Amantea, Labonia, Martucci e de Rosis di conservare nelle loro case del veleno “per propinarlo alla popolazione”. “Tali anonimi si attribuivano al Sig. Greco, conosciuto pel suo carattere immorale e fantastico, credendosi con fondamento che si aveva in mira il saccheggio e l’esterminio degli abitanti onesti e moderati”. Vincenzo fu anche un grande protagonista degli scontri armati in Calabria tra rivoluzionari ed esercito borbonico. Il 16 giugno 1848 arrivò a Rossano dalla zona di guerra per prendere il cannone della dogana di Sant’Angelo e portarselo al campo di Spezzano Albanese per rinforzare le postazioni dei ribelli. Prese anche parte alla battaglia di Campotenese col grado di colonnello delle truppe irregolari. Col ritorno dell’assolutismo subì processi e galera. Nelle dure prigioni borboniche era costretto a camminare con le catene e la palla di ferro al piede e a Napoli subì anche un accoltellamento da parte dei carcerati camorristi. Riacquistò la libertà solo nel 1859. Lui però continuò a non risparmiarsi nel perseguire il miglioramento delle condizioni di vita dei concittadini e il risanamento e l’abbellimento della sua città, facendo sentire la sua voce con istanze e petizioni rivolte alle autorità.Prestò servizio nella Guardia Nazionale partecipando alla lotta al brigantaggio e nel 1870 si candidò alle elezioni politiche con un manifesto rivoluzionario che prevedeva al primo punto la contrarietà verso le tasse che “affliggono le popolazioni di questa misera Italia” e la cancellazione del “Dazio sul macinato” che tanto colpiva la povera gente.


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