Ricordando Eugenio Scalfari! Suo nonno Eugenio fondò l’Avvenire Vibonese: buon sangue non mente.


 

di Maria Lombardo 


Che il compianto Eugenio sia originario di Vibo Valentia è assodato certo meriterebbe uno spazio maggiore per quell’uomo che diede molto al giornalismo italiano. Mi sono documentata leggendo un po' di scritti del maestro Eugenio. Ebbene non pensate che non parlasse mai di Vibo e dei suoi avi! Nel 1882 a Monteleone usciva uno dei periodici più antichi calabresi, l''Avvenire Vibonese', settimanale politico amministrativo letterario, fondato e diretto da Eugenio Scalfari, che dopo breve interruzione nel 1889, terminava la sua interessante avventura nel 1894. Fu un'esperienza esaltante per i comuni del territorio le cui notizie, le cronache e le fitte corrispondenze fecero subito capo alla testata vibonese le cui pagine non trascuravano di riportare dallo scenario nazionale notizie e eventi sull'arte, la letteratura, la musica, riconducibili a autori calabresi. L''Avvenire Vibonese' sicuramente diede impulso a far nascere nel territorio alcune realtà editoriali interessanti ai primi anni del Novecento come quelle di Tropea: 'Il Galluppi' settimanale dal 1903, 'Il Gazzettino di Tropea' settimanale dal 1905 e mano mano gli altri, 'L'efebo' quindicinale a carattere letterario dal 1907, la 'Calabria del popolo' quindicinale dal 1911, 'La sfinge' quindicinale a carattere letterario dal 1920, il 'Giornale di Tropea' dal 1920...Nell'edizione del 12 dicembre 1891 il direttore Eugenio Scalfari volle pubblicare sul suo giornale commentandola una lettera del musicista tropeano Gaetano Cipollini indirizzata a Ugo Valcarenghi, direttore della rivista Cronaca d'Arte di Milano, nelle cui pagine trovò ospitalità. Lettera che esprimeva lo sdegno e il rammarico di un autore perbene a causa delle inadempienze di Casa Ricordi rispetto agli impegni contrattuali intrapresi per la rappresentazione dell'opera lirica 'Simeta'.Gaetano Cipollini iniziò a comporre, trentenne, 'Simèta', di proporzioni faraoniche, tratta dal II Idillio "Le incantatrici" di Teocrito - come viene indicato dal librettista Antonio, suo fratello, all'inizio del testo. La celebre cantante Maddalena Mariani Masi lesse lo spartito, ne fu presa e ne volle parlare a Giulio Ricordi. Il dramma fu accolto con simpatia dagli amici scapigliati, e ne nacque spontaneamente una specie di Comitato di sostegno a favore del musicista calabrese. Corsero trattative, nacquero progetti e propositi per una messa in scena. Casa Ricordi stipulò un accordo, nel quale si impegnava ad adoperarsi per la rappresentazione dell'opera entro un triennio e in un grande teatro. Il compositore aveva dal canto suo l'obbligo di provvedere all'allestimento, e infatti, oltre a predisporre il materiale musicale (canto e piano, partitura e parti), commissionò, nel 1887, le scene a Carlo Ferrario ed i costumi a Alfredo Edel, fedeli collaboratori ed amici di Boito. I migliori sulla piazza: Edel aveva appena finito di disegnare i figurini per Otello (libretto di Boito) ed entrambi avevano lavorato alla magistrale edizione del Don Carlos per la Scala nel 1884. Tutto era pronto e sotto la prorompente azione dei sostenitori l'opera sembrava fosse alle soglie della pubblicazione. Nel 1889 anche il libretto fu dato alle stampe, come per annunciare ormai che lo spettacolo era imminente. Ma non fu così. Le trattative durarono sette anni, quanti ne aveva consumati il Maestro per comporre la sua opera. Di queste trattative si occupò la stampa. Uno dei più autorevoli giornali diede notizia che 'Simeta' 'è opera degna della Scala' ed un altro ancora 'Si dia pure questo anno alla Scala l'Edgar di Puccini, che non è poi tanto desiderato, ma vi sono altre opere: la Simeta ad esempio...'. Ma Ricordi andava ripetendo che l'opera era di troppo vaste proporzioni, d'impegno e di spese forti, richiedendo un imponente allestimento scenico per la presenza di grandi masse corali e la ricchezza di ballabili. Ad un certo momento l'impresa della Scala chiese al Maestro un contributo per le spese di messa in scena: quindicimila lire. Una cifra, a quei tempi molto rilevante. Data l'impossibilità di reperire i fondi necessari, non rimase al Cipollini che assistere al fallimento del progetto. E neanche lo spartito venne stampato. Ricordi si rifiutò di farlo, anzi restituì l'intero materiale al musicista: gliene dava facoltà una clausola del contratto, che prevedeva questa procedura in caso di mancata rappresentazione. I giornali lo vennero a sapere e si scagliarono contro l'impresa, e di 'Simeta' dopo poco tempo non si parlò più.

Leggo nella Cronaca d'Arte di Milano, rivista mondana di arte e letteratura, la seguente lettera:

'' Caro Valcarenghi,

''Non solamente la Cronaca d'Arte, ma tutti i miei amici e conoscenti, i quali, finalmente, credevano fosse venuto il momento di vedere alla Scala la mia Simeta, mercè il potente appoggio della casa Ricordi e C., lessero invece con sorpresa nella Gazzetta Musicale che io ho già ritirato l'opera da quella casa editrice.

''Dopo ciò, ad evitare equivoche e maligne interpretazioni, reputo mio dovere far conoscere a quella parte di pubblico che alle questioni artistiche si interessa, ma ne ignora il dietroscena, quanto segue: - parecchi anni or sono, dopo aver tentato, in tutti i modi, di far rappresentare in uno dei teatri di Milano la mia opera Simeta, che già la casa Ricordi e C. conosceva, mi decisi a cederne ad essa la proprietà, convinto che il valido ausilio ed il prestigio del nome della primaria casa editrice europea fossero l'unico mezzo per schiudere le porte di quei teatri, per me sino allora irremissibilmente chiuse. La casa, alla sua volta, lietissima dell'acquisto, mi stipulò contratto, col quale si obbligava di far rappresentare l'opera nel termine di tre anni.

''Furono tre anni di continue promesse, di cortesie largamente usate, di aspettativa fiduciosa. Ma i tre anni sono infruttuosamente passati, i patti del contratto non furono mantenuti, ed io ho ritirato la mia opera, disilluso e scorato, per aver perduto un tempo per me prezioso. Adesso, dopo 16 anni che ho fatto di Milano la mia diletta patria adottiva, e che ho consacrato e sacrificato all'arte la mia giovinezza e la mia poca fortuna, non mi resta altra speranza che augurare prossima l'epoca rivendicatrice, nella quale, come disse benissimo Dario Papa nell'Italia del Popolo, i maestri possano fare a meno degli editori, mercè la provvidenziale opera ed iniziativa dei Municipi italiani, gelosi custodi dell'arte nazionale.

''Sicuro che vorrà dare ospitalità a questa mia dichiarazione nella pregevole Cronaca, ringraziando mi dichiaro

Milano, novembre 1891.

devotissimo

M. Gaetano Cipollini''.

 

Il commento di Scalfari nonno fu:

Oltre alla Simeta i fratelli Antonio e Gaetano Cipollini, poeta quegli, maestro di musica il secondo, hanno scritto il Gennarello. Tuttavia i valorosi giovani da parecchi anni sostengono a Milano, loro patria d'adozione, per la quale non hanno mai dimenticato la nostra Calabria, una lotta gigantesca contro camorre e pregiudizi regionali che sembrano incredibili in un paese che ha tutta l'esteriorità di un paese civile. Dalla lettera riportata e da altre cose che mi son note per corrispondenza, mi vien da esclamare che è ignominioso, vergognoso, obbrobrioso quello che a Milano consumasi, perchè una casa editrice non mantenga gli impegni stipulati con legale contratto di compravendita, e perseguita con tutti i mezzi della prepotenza l'opera nostra artistica nazionale, appunto perchè ha tutte le opere del Wagner da far girare, imponendole alle Imprese, e facendole accettare, per intrigo di partito e corruzione di coscienze, dai Municipi che lautamente dotano i loro teatri.

Eppure i bravi giovani lottano, confondendo i loro nemici con la dignità e la fierezza che questa calabra terra infuse ne' loro petti, e sperano anco di vincere, perché con loro e con quanti sono come loro vittime di cabale e d'intrighi, è il vero popolo italiano che ama e vuole il culto dell'arte propria, e che si ribella alle imposizioni straniere col non andare a' teatri, rovinando in tal guisa le Imprese.

Di fronte a questa titanica e nazionale lotta, che i fratelli Cipollini, una ad altri generosi e valorosi artisti, hanno intrapreso, noi non possiamo per molte regioni tenerci indietro, e principalmente per l'effetto che conserviamo a costoro, i quali sono ammirevole esempio di selph-elp, perché da nulla in che erano, ora sono segno del massimo rispetto di coloro che intendono. Ei son del Monteleonese, e noi ce ne vantiamo.

In quanto al Gennarello che rappresentata con molto plauso a Milano, aspettiamo che una Compagnia melodrammatica venga a battere alle porte del nostro Vibonese, il quale non deve restar chiuso dopo tante spese e sacrifizi sostenuti per esso. L'ho detto altra volta: occorre che l'Amministrazione comunale stanzi una somma annua per il nostro Teatro; e se così sarà, è probabilissimo che il Gennarello, opera la cui azione svolgesi in Monteleone, e che fu scritta da due nostri concittadini, verrà rappresentata su queste scene. Questo sarebbe il mezzo di ricondurre, almeno per pochi giorni, i fratelli Cipollini alli amati amici.

Eugenio Scalfari”

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