I greci di Calabria secondo Cesare Lombroso venuto in Calabria a seguito dei piemontesi


 

di Maria Lombardo 


Ebbene affezionati lettori oggi ho deciso di dipanarvi una questione davvero spinosa per i neomeridionalisti e le loro imprecazioni contro Lombroso senza mai aver letto il suo libro ne mai un suo scritto. E non si conosce bene su che basi parlano o vogliono fare storia. Oggi taccio anche io! Sarà solo Lombroso a parlare:” I

Greci per singolare sbaglio confusi da molti cogli Albanesi, occupano quell’estremo punto della nostra terra, che è l’ultima Tule dell’Italia continentale. Sono sparsi in numero di 8.531 circa, nel 1600 erano 12.000 a Bova, a Roccaforte, Roghudi, Cardeto, Condofuri, Gallicianò, Korio, Amendolea ed in un sobborgo di San Lorenzo. Molti di essi, specialmente i ricchi, conservano l’antico tipo dell’Attica; fronte alta, spazio interoculare largo, naso aquilino, occhi grandi e lucidi, labbro superiore corto; bocca piccola cranio e mento arrotondati, tutte le linee del corpo dolci ed aggraziate. Il loro temperamento è linfatico e nervoso; fini, astutissimi, lascivi, hanno mobilità di idee, tendenza al procaccio, e un poco al furto, somma facilità al canto e all’armonia. Confinati all’estremo lembo d’Italia, su aride rocce, divisi da un mare inospitale, non è a stupire, se conservaronsi, come vennero, semi-barbari nei poveri loro tuguri. Essi vivono di latte, di grano, di miele, di cacciagione, di castagne, di carni caprine, e servonsi ancora, come i nostri proavi, di torce (psinne o tedde). Usano pure di cuocere, a modo degli antichi Pelagi, delle ciambelle di farina sotto le pietre arroventate. Cinti da ogni lato del mare, pure rifuggono dalla pesca; e questo mi è indizio che non venissero dalle coste ma dell’interno della Grecia; ...come gli antichi Elleni, preferiscono l’apicoltura, la pastura delle capre, la caccia delle volpi, la coltura del fico d’india, del castagno. Essi hanno quattro chiese, ed un povero ospitaletto: osservano tutti i riti e la liturgia della religione cattolica; solo pochi vecchi e le donne recitano il Perimò e lo Staurò delle Chiesa greca senza però capirlo, mescendovi solo, come temo fa gli altri Calabresi, avanzi di vecchie pratiche pagane rimaste obliate al fondo di quelle deserte e vetuste regioni. Così sogliono fare piangere i loro morti da apposite donne; eredi delle prefiche, le quali si stemperano in lodi del defunto, a in atti di pagato dolore; ai quali segni di lutto, tengono dietro, a modo antico, splenditi conviti funeri; e con ricchi conviti celebrano le nozze. Certo è retaggio dell’Attica il singolare onore in cui v’è l’arte del poetare, che vi cresce come l’olivo, antica, spontanea, bellissima. Il maggior sollazzo dei ricchi e dei poveri è quello di raccogliersi ad udire belle tragude o canzoni, accompagnate dalla zampogna e dal tamburello che spesso improvvisano sotto le finestre delle donne amate, o radunandosi di sera specie di festa. I canti alludono alla caccia, all’agricoltura, alla satira del padrone, o dei ricchi vicini e alla femmina. Alcuni di questi trovatori si tramandano da padre in figlio la raccolta dei canti, e ne traggono lucro non poco. S’aggiunga che io dovetti rivelare delle singolari differenze nel dialetto tra l’uno e l’altro di quei paesetti Greci, per esempio porco è detto ciri a Roccaforte e cunì a Bova; il burro è detto qui i hisca, là gadeta; il padre ciurè a Roccaforte, negli altri paesi patre e messere; e il pane si chiama ora psomì ora spomi; il prosciutto è ora detto perscutto ora offeddu, la sasizza dei Calabresi e detta dagli uni morguni, dagli altri rucanica. Si noti di più che l’un paese suole ingiuriare e sprezzare l’altro, assai più che la comunità di origine. I Bovesi dicono, per es., millantatori, spesi spasu ai Condofuriesi: e questi danno ai primi il poco elegante titolo di cani malati (scillo-vutani). Quei di Roghudi sono detti maneschi. Tutto ciò mi fa inclinare a credere che queste genti non tadessero direttamente si nobile origine, ma che da antiche colonie greche, fuse poi colle romane, ...si fossero in varie epoche assai posteriori, sovrapposte delle popolazioni di origine pseudo-Ellenica; e si accorderebbero così le asserzioni storiche, e la tenace tradizione coi fatti linguistici e colla completa ortodossia del rituale liturgico...Fin qui quel poco che trovai io, che credetti per qualche tempo esser stato il Colombo di queste colonie, ma messomi a studiar l’argomento trovai che di me troppi altri s’erano già occupati.

Cesare Lombroso, 1898”

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