Da Mondovì alla Calabria: la storia di Giovanna Bertòla, una femminista e dispensatrice delle idee risorgimentali
di Maria Lombardo
Moglie di un esponente del Risorgimento meridionale, il
sannicolese Antonio Garcèa, ebbe un ruolo innovativo, ma ancora poco
conosciuto, nel mondo della scuola dell’epoca e nell’affermazione dei diritti
delle donne. Vengo a conoscenza di questa donna sui generis dagli scritti del
prof. Vito Teti sono rimasta impressionata da questa figura. Era comunque una
figura femminile del Risorgimento! Nobile ed illuminata nasce a Mondovì nel
1843 e spira a Bobbio nel 1920. Il 6
agosto 1860 consegue la patente d’idoneità di maestra elementare di grado
inferiore e il 20 maggio 1861 il direttore della Scuola Normale dichiara che la
Bertòla è stata sempre fra «le prime per costante diligenza e fervido zelo
nello studio» e che, pertanto, lascia «fondata speranza di riuscire ottima
istitutrice e madre di famiglia». Il Teti agginge: ” Non sarebbe stato questo
il suo destino. L’incontro con un protagonista del Risorgimento meridionale,
Antonio Garcèa di S. Nicola di Vallelonga (oggi S. Nicola da Crissa), arrivato
a Mondovì alla guida della divisione Avezzana, nel maggio 1861, avrebbe
cambiato la sua vita. L’11 agosto Antonio e Giovanna si univano in matrimonio”.
Di Garcèa parleremo presto la sua fu una vita rocambolesca. La sua vita poteva
rimanere anonima però se la giovane moglie non avesse pubblicato a suo nome nel
1862 nella Tipografia Letterari di Piazza S. Carlo 10 a Torino la “memoria
storica” Antonio Garcea sotto i Borboni di Napoli. Rivoluzione d’Italia dal
1837 al 1862 (1862), dove raccoglie i racconti del marito, narrando, con
linguaggio risorgimentale, l’eroismo dei patrioti, martiri napoletani e
calabresi. Di grande valore i suoi articoli sul lavoro sottopagato delle donne
in una Rivista che la stessa fonda. Comincia in molte zone dell’ Italia tra cui
la Calabria a promuovere e fondare collegi femminili . A Reggio Calabria
sostenuta dal marito fonda il Collegio
Convitto delle «nobili donzelle», divenuto in seguito il Collegio «Vittoria
Colonna». L’educazione fisica è citata tra gli scopi fondamentali del «Vittoria
Colonna»: una visione pioneristica per le posizioni dell’epoca. In occasione
della festa nazionale del 7 giugno 1868, organizzata dall’Istituto Comunale
Femminile di Reggio Calabria, Giovanna Bertòla legge, in presenza del
provveditore agli studi della città, un testo dove ancora una volta torna su
temi a lei cari: il grave errore compiuto dai regimi che «tiranneggiavano
l’Italia, il proibire l’ingresso al Santuario della Scienza al popolo in
generale, ed alla donna in particolare», la grande aspirazione al sapere e
all’istruzione che si va affermando nella nuova Italia, e di cui testimonia il
Convitto Comunale di Reggio, dove è stata avviata «l’opera della rigenerazione
intellettuale della donna». Fondamentale lo studio della lingua: «vincolo che
unizza tutta una razza, e ne fa come una sola famiglia, un solo individuo; in
essa luminosamente traspare l’immagine, il carattere, il volto stesso d’una
nazione». Rivolgendosi alle donne italiane e alle carissime alunne, Bertòla
esclama: «Educhiamoci, istruiamoci, rendiamoci degne dei nuovi destini, che ci
attendono, della missione stataci affidata; acciò poter a nostra volta educare
a forti e patriottici affetti le presenti generazioni, sicché mercè nostra, la
nostra bella patria, che in passato lo straniero con vile insulto chiamava –
Terra dei morti d’or innanzi sia costretto a nomarla: – Terra dei Forti!».
Insomma gli statuti delle sue scuole hanno un pensiero pedagogico aperto! Nel
1871 però la Bertola diviene direttrice del convitto annesso alla Scuola
Normale, fondata nel 1863, con lo stipendio annuo di L. 2000. «L’educazione
della donna non racchiude soltanto l’idea della educazione della metà del
genere umano, ma dell’umanità intera», scrive Giovanna Garcèa Bertòla nella
Relazione del 1874 sullo Istituto Normale femminile di Catanzaro, e questa è la
convinzione profonda che l’accompagna nel viaggio al Sud, dove scopre un’altra
parte della nuova nazione. Inoltre presso l’Istituto Normale diviene maestra
assistente. I riconoscimenti che riceve in Calabria non attenuano il suo
disagio per le gravi pecche dell’organizzazione dell’istruzione pubblica, che
denuncia in una relazione a stampa del 21 agosto 1874 inviata al Prefetto della
città. Ricorda la situazione in cui versava il convitto al suo arrivo: locale
di due soli cameroni in rovina, mancanza di arredi e di utensili fondamentali,
un unico catino con cui tutte le allieve devono provvedere alla cura del corpo,
modi frettolosi e poco igienici di trattare il cibo, scarse porzioni, mancanza
di utensili per cui il cuoco serve da un’unica caldaia gli alimenti con le
mani. Molto forti sono le prese di posizioni contro l’uso di favoritismo e di
“raccomandazioni”. Capitava anche che le allieve si presentassero agli esami
senza aver conseguito la promozione di classe, «ridendosi per così dire de’
Professori e della Legge», con la complicità di potenti personaggi del luogo, cercò
con ogni mezzo di ostacolare questa usanza secolare. Chiare le parole del Teti:”
I rimedi che propone al Prefetto sono drastici: locali adeguati al convitto;
stanze sufficienti per le allieve; cambiamento del personale addetto alla
direzione e all’insegnamento, «cominciando da me stessa»; osservanza dei
regolamenti; somme adeguate all’arredamento; nomina di una direttrice che, con
rigore, faccia osservare il contratto d’appalto ed eserciti la sorveglianza
sulla vita quotidiana del Convitto; attenzione a eventuali reclami con proposte
tese al miglioramento e al buon andamento dell’istituzione; trasparenza e
corretta informazione al fine di scoprire, «per poscia prendere energiche
misure, gli spacciatori di false asserzioni, dirette a discreditare
l’Istituzione per mire private, e per princìpi, in relazione perfettamente opposti
a’ princìpi di vero progresso e di vera civiltà». È un richiamo alle regole e
al rispetto delle istituzioni, che mai come oggi suona attuale. Le dimissioni
vengono date da Bertòla con vigore e dignità insolita ancora ai nostri tempi.
Sa bene che la sua relazione «adombrerà gl’interessati e schiuderà la via alle
recriminazioni; io però sento di aver detto il vero e di riposare tranquilla
sotto l’usbergo del sentirmi pura». Conclude affermando che, nonostante la
stima goduta nel triennio in cui ha ricoperto l’incarico, «non potendo più
durare in uno stato tanto anormale di cose, né permettendolo più d’avvantaggio
la mia dignità, sono venuta nella ferma determinazione di rassegnare, siccome
le mie dimissioni, nella coscienza di aver scrupolosamente adempiuto alla
santità de’ miei doveri».” Giovanna non le manda a dire, non si piega, è
intransigente, e così afferma la dignità e il ruolo delle donne. La sua fu una
denuncia che individuano una sorta di «martirio della scuola in Calabria»,
sembra l’avvio delle amare analisi e delle innovative proposte che più tardi
avanzeranno, con ben altra attenzione ai ceti popolari della regione, Zanotti
Bianco e Isnardi. Bertola a questo punto lascia la Calabria per Velletri e qui
fonda l’ennesima Scuola Normale intanto Garcea muore e lei sposa un nipote del
marito. Trasferita a Bobbio resta ben 15 anni. Nel 1884 è abilitata
all’insegnamento delle lettere italiane nel 1895 diventa reggente per la pedagogia
nelle scuole normali superiori e nel 1896 si abilita definitivamente
all’insegnamento della pedagogia nelle superiori. La Scuola Normale di Bobbio
diventa una scuola moderna, con tante discipline nuove. Auspica, inoltre la
possibilità per le donne di accedere all’Università perché altrimenti «non sarebbe
mai raggiunto quel grado di civiltà, alla quale tutti aspiriamo, quando non
fosse tenuta alla dovuta altezza la dignità della donna, quando non si
coltivassero le sue attività intellettuali, quando il suo cuore non venisse
informato al sentimento de’ suoi doveri verso la famiglia e la patria».
Giovanna Bertòla il 3 agosto 1898 è trasferita ad Avezzano, come direttore
della Scuola Normale, successivamente, il 30 ottobre 1901, a Lagonegro, mentre
il 16 marzo fino al 30 settembre 1902 è comandata a prestare servizio nella
Biblioteca Centrale Vittorio Emanuele di Roma; dal 1 novembre 1902 è trasferita
alla Scuola Normale dell’Aquila. Intensa la vita intellettuale, fatta di
frequentazioni con Bixio, Garibaldi, Anna Maria Mazzoni, Adelaide Folliero De
Luna, parlamentari Gioacchino e Achille Rosponi, Francesco De Sanctis,
principessa Louise Murat. Nel 1914 è
destinata alla direzione della Scuola normale di Macerata, dove rimane due
anni. Si stabilisce, dopo la pensione presso la figlia Cesarina a Cellino Attanasio
a Teramo e poi, sempre in compagnia della unica e inseparabile sorella
Barberina, ritorna a Bobbio presso la figlia Luisa, rimasta vedova nel 1911.
Come la Mozzoni diventa interventista allo scoppio della Prima Guerra Mondiale,
incoraggia il figlio Roberto ad entrare nell’esercito, e vive la sua scelta in
coerenza con il patriottismo, gli ideali risorgimentali, le lotte per la
liberazione delle donne che avevano ispirato e orientato la sua vita. Muore a
Bobbio il 31 agosto 1920, un solo rammarico la scrivente aggiunge una donna di
questa caratura rimane ad oggi
sconosciuta soprattutto in Calabria terra a cui ha dato tanto. Legata alla
Calabria ed alla sua storia ci auspichiamo tutti di poterla far conoscere ai
più.
(vita tratta dagli articoli del prof. Vito Teti)
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