Il quarzo di Davoli (CZ) e la S.P.A Davoli Quarzo e Silice
In Calabria clima et natura hanno sempre condizionato la vita dei Calabresi. Siamo negli '30 del secolo scorso e l'acqua dell'alluvione portò alla luce a Davoli sabbie di quarzo. L’Ing. Bruno Misefari accerta una faglia quarzifera che avrebbe dato lavoro per 20 anni. Mancavano i finanziatori che reperì in Svizzera! Fondò poi con un gruppo di impresari romani la “S.p.A. Davoli Quarzo e Silice” con 10.000.000 di Lire di capitale sociale. Il minerale veniva estratto offriva lavoro al circondario, attraverso la catena di distribuzione, costituita da una teleferica di 3200 metri, la stazione di Satriano, lo stabilimento di molitura di Soverato e le vaporiere, che dal molo di Soverato distribuivano la “terra bianca” a Napoli e a Firenze. Il quarzo di Davoli era purissimo ed era acquistato dai laboratori di precisione dell'Esercito a Roma dalla Venini di Murano e dalla Ginori di Firenze. Serviva per fare vetri, porcellane isolatori elettrici. I pro e i contro di un duro lavoro che se da un lato dava da mangiare minava la salute. Poveri minatori a quel tempo umidità, nessuna protezione respiratoria e la silicosi colpì molti giovani. Un giacimento questo che chiuse per vari fattori liberalizzati gli scambi con l’estero e i costi di produzione, data la posizione geografica del giacimento, divennero pesanti le tariffe delle merci poco sostenibili, vista la spietata concorrenza della Francia e dell’Olanda. Ragion per cui Davoli tornò ad essere un paesello calabro che viveva di turismo ed artigianato, dopo aver vissuto una stagione lavorativa florida dove le industrie del Nord citate in calce chiedevano il prodotto davolese. Si estraevano 30.000 tonnellate all'anno di minerale, un numero copioso per i tempi e per i modi antiquati di estrazione. Il ciclo completo di estrazione trasporto e semi lavorazione il minerale lo concludeva nella COMAC un opificio in mattoni a Soverato. Questo raffinava il minerale, e il semilavorato prendeva la via delle industrie che allora si servivano del quarzo per la porcellana e altro. Sorgeva perciò il molo di cemento che è oggi sepolto dalla sabbia non lontano dalla baracca dei pescatori. Alla fine della guerra, per vari motivi, la società entrò in crisi e fu costretta a chiudere. L'industria del quarzo fallì alla popolazione rimase solo il ricordo, un misto tra lavoro e morte. Di quarzo ce n'era e ce né ancora: bisogna trovare il modo per utilizzarlo, magari sfruttandolo e lavorandolo in loco, creando delle industrie del vetro e della ceramica. Sarebbe una buona opportunità per il comprensorio.
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