Il 16 settembre 1925 nasce da padre napitino Isabella Marincola la somala: partecipò al film Riso Amaro
di Maria Lombardo
Isabella Marincola, sorella minore di Giorgio, medaglia d’oro al valor militare, morto partigiano nell’ultima strage nazista perpetrata sul suolo italiano, nasce il 16 settembre 1925 dall’unione illegittima tra il soldato italiano Giuseppe Marincola (Pizzo Calabro 1891 - Roma 1956) e una giovane somala, Ashkiro Hassan. Giuseppe Marincola è un maresciallo di fanteria dislocato nel Corno d’Africa!Qui conosce una giovane e bella somala con la quale mette al mondo due figli. Li ricosce e li porta in Italia. Giorgio viene affidato a degli zii a Pizzo, Isabella va a Roma col padre. I due fratelli diventano così due italiani neri a Roma, negli anni del Fascismo e delle leggi razziali. Giorgio a Roma studia ma presto
entra nelle formazioni armate del Partito d’azione e il 4 maggio del 1945 muore trucidato dalle SS in ritirata, assieme ad altri 11 partigiani e 16 civili, in uno scontro a fuoco con i nazisti che attaccano i villaggi di Stramentizzo e Molina di Fiemme. La Germania cesserà definitivamente le ostilità l’8 maggio. Morto il fratello la ragazza si ritrova sola, la situazione in casa si deteriora ulteriormente, e così decide di andarsene.
Studia e
frequenta scrittori, registi, scultori, artisti. Si dedicherà al
cinema ed al teatro, comparendo in varie rappresentazioni. La mondina
nera di “Riso Amaro”, il film diretto da Giuseppe De Santis con
Vittorio Gassman, Raf Vallone e Silvana Mangano, è Isabella.
La
giovane Isabella calpesta palcoscenici teatrali, set cinematografici,
posa come modella, si sposa e risposa fino ad arrivare ad avere tre
mariti, l’ultimo dei quali, un somalo, la riporterà nella sua
terra natia, dove incontrerà la madre.A Mogadiscio vi rimane per
trent’anni, sino al maggio del 1991 e sarà l’ultima cittadina
italiana rimasta a Mogadiscio ad essere rimpatriata dalla Somalia in
Guerra. Lascia questa terra il 30 marzo del 2010. Negli anni Trenta,
molti vedevano l’icona dell’avventura coloniale vezzeggiavano
come una bertuccia ammaestrata. Erano entusiasti di questa “bella
abissina” che parlava italiano e faceva la riverenza, ma si
guardavano bene dall’invitarmi per una merenda con le figliole. Col
tempo, quelle coccole zuccherose si evolsero in direzioni opposte: da
una parte, l’approccio sessuale esplicito, offensivo; dall’altra,
lo sguardo indiscreto, come filtrato dai rami di una siepe. A teatro,
in tram, per la strada: ovunque andassi mi sentivo studiata, con gli
occhi e con le parole. “Guardale le labbra, guardale i capelli,
guardale la pelle. È una mulatta.
Commenti
Posta un commento
Dimmi cosa ne pensi!