Una canzone sul 1° Maggio nella Calabria del I Novecento


 di Maria Lombardo 

Vincenzo De Angelis Brancaleone (RC), 1877-1945, dopo studi di medicina all'università di Messina fu medico nel paese natale fino alla morte. Intellettuale fra i più in vista a Messina e a Reggio Calabria dove, assieme a Gaetano Sardiello (repubblicano) e Guglielmo Calarco (socialista) fondò nel 1909 il periodico «Giovane Calabria».Per la pubblicazione spese i suoi consigli anche Gaetano Salvemini, docente di Storia Moderna all'Università di Messina sin dal 1901, con una lettera aperta a De Angelis uscita sul periodico «Resurrezione» del 20 giugno 1909 [ora in Italo Falcomatà, Democrazia Repubblicana in Calabria Gaetano Sardiello (1890-1985), Roma 1990, p. 31].De Angelis fu anche massone e, fondata a Reggio una loggia denominata l'Avvenire sociale, fu anche Venerabile della famosa e prestigiosa loggia denominata 5 martiri di Gerace; delegato al congresso socialista che si tenne ad Ancona nel 1914 (26-29 aprile) avversò, senza fortuna, un ordine del giorno che costringeva i militanti socialisti a dimettersi dalla Massoneria.


Questa poesia, dedicata al 1° Maggio (apparsa di recente su In Aspromonte, 09.06.2015)



Nu jornu u Patreternu si levau,

si fici l'occhi chini di sputazza

e ch'i mani nt'a buggia s'avviau

mi vidi chi si dici supr'a chiazza.


Ma si fici nu mari di fururi

quandu vitti carompula a culuri.


Quandu vìdinu russu sti nimali

pèrdunu sentimenti e ciriveddhu

pirciò chidda jornata fici zali

chi si ntìsiru finu o pantaneddu.


(Fu a) Prima di maju)/

/ pe' nu juri russu

(ch)'u Patreternu fici liscia e bussu.


Il testo, 13 versi senza interruzioni strofiche, va diviso in due sestine (ABABCC – DCDCEE) con la riunione dell'undicesimo verso al successivo, eliminandone l'apertura (Prima di Maju, pe nu chiuri russu); altrimenti ci sarebbe uno scompenso prosodico ed anche metrico rispetto a tutti gli altri versi che sono endecasillabi perfetti. Anche la congiunzione che ad inizio dell'ultimo verso risulta poco giustificabile ed è collegata, nell'interpolazione, all'apertura del verso precedente.La scelta del dialetto ha carattere minimalista, quasi che l'autore non abbia voluto impegnare le sue qualità retoriche, nonostante egli oratore assai valente fosse. Il risultato è una caricatura senz'altro blasfema del «Massimo Fattor» nella quale evidentemente si compendia l'anticlericalismo di lungo corso metabolizzato nella lunga militanza massonica.Dio dunque, come un signorotto che si alza tardi e si lava con indolenza (si fici l'occhi chini di sputazza, letteralmente si lavò il viso con la saliva come fanno i gatti), va in piazza a vedere che si dice e, inaspettatamente, si imbatte nella «rossia» di garofani per la festa del lavoro; sicché il De Cuius, quasi fosse un toro nell'arena, perde il cervello e si infuria per quel rosso, urlando come ossesso (fici zali, fece dei gridi assordanti). E quindi, per un fiore rosso, il Padreterno fici liscia e busssu, cioè batté i pugni sul tavolo come un giocatore di tresette.


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