LA ROCAMBOLESCA VITA DI NINO MARTINO IL BRIGANTE CALABRESE CHE DIVENNE SANTO.









di Maria Lombardo



 Per capire di cosa sto narrando bisogna partire dalla leggenda che aleggia su questo personaggio.La leggenda che andrò a narrarvi parla di quando Nino dopo anni di vita solitaria decide di unirsi ai suoi concittadini ma viene duramente sbeffeggiato. Decide così in primis di lavare l’onta subita bruciando la casa del suo padrone. Viene catturato e salvato dalla forca, chiede vivamente perdono alla madre ma l’atto viene giudicato da spia ragion per cui viene trucidato dal suo gruppo di “amici”. E’ però la madre a trovare il corpo nel bosco, e riportandolo a casa lo seppellisce nella sua cantina, proprio sotto una botte. La leggenda come apprendiamo da molte fonti, vuole che quella vecchia botte iniziasse a produrre un copioso e buon vino persino la giustizia lo riconobbe come miracolo. Per questo un “brigante aspromontano” fu proclamato Santo. Nell’antica cultura popolare calabrese è lui San Martino, il santo dell’abbondanza. Persino Francesco Perri nel suo libro Racconti di Aspromonte ( edizione Qualecultura) racconta la leggenda del brigante: “Egli viveva nei boschi, a capo di una banda numerosa e agguerrita che, giusto l’espressione della leggenda, egli trattava alla riali, e cioè, con la magnificenza di un re. I suoi compagni vestiti di splendidi velluti avevano armi sopraffine, mangiavano robustamente, e vivevano come i lupi della montagna, magnifici, temuti a cento miglia d’intorno”. Intanto cari lettori vi rammento che nelle scorse stagioni ho già scritto di Nino Martino dimostrando la sua presenza sull’acroco aspromontano. Ora vi spiego la sua vita rocambolesca! Le sue gesta si svolgono nel corso del ‘500. Come tutte le tragiche storie dei ribelli, la loro avventura dura poco, è storia di giovani vite che si immolano in nome di un ideale, di una ribellione irrefrenabile. Alla violenza dei baroni che non concedevano respiro ai loro sudditi, si rispondeva con altrettanta violenza e ferocia. I banditi o fuoriusciti godevano di vasta protezione sia presso la popolazione che li considerave come vendicatori dei soprusi e delle angarie che erano costretti a subire, sia da parte degli stessi baroni ed ecclesiastici che li usavano per combattersi a vicenda e terrorizzare la popolazione, convincendo che senza la loro presenza essi sarebbero caduti nelle mani di assassini e stupratori. Il suo nome appare nella storia di Bernardino di Reggio, il quale accoglie nel convento tutta la comitiva del brigante e provvede al loro sostentamento, dandogli rifugio. Anche il santo uomo è influenzato dalla opinione comune che Nino è un vendicatore dei torti piuttosto che un truce assassino. Secondo Placanica accanto a Campanella militava il figlio di Nino Martino, il quale sarebbe stato uno degli organizzatori della congiura antispagnola. “L'istesso quasi gli occorse nel medesimo Convento di Reggio, ov'essendo Guardiano il sopradetto Bernardino da Reggio, arrivato una sera con una compagnia di trenta persone, un Gentilhuomo nostro divoto per nome il Signor Coleta Mangeri, che haveva il mandato regio contro i fuorusciti nel tempo di Nino Martino loro Capo, che dava il guasto al Territorio al territorio di Reggio, pregò il P. Guardiano di cui era assai famigliare, che desse loro qualche cosa da mangiare, perché erano afflitti, ne veniva ancora la provisione dalla Città. Ordinò subito il Guardiano a Fra Antonino, che portasse del pane, e di quello si trovasse nel Convento. Andato fra Antonino alla Cassa, ne ritrovandosi altro che quattro pani piccioli, li mostrò al Guardiano, il quale confidato molto nell'oratione del buon Religioso, gli dasse, che pregasse il Signore per quel bisogno, e poi benedicesse i pani. Benedetto il pane fu moltiplicato dal Signore in modo, che bastò avvantaggiosamente per quaranta persone.” Nino Martino diventa protagonista di una vera e propria saga popolare, cantata dai cantastorie nelle fiere. Una ballata è stata raccolta e riproposta da Otello Profazio che ne ha fatto uno dei suoi più noti successi.A fine Ottocento la leggenda di Nino Martino viene riproposta da Vicenzo Padula, che afferma di avere raccolto le testimonianze popolari, secondo le quali egli sarebbe stato un pastore dei Casali di Cosenza, diventato "Santu Martinu". La sua forza, il suo coraggio, la fama delle sue imprese gli attirano le simpatie popolari e l'adorazione della stessa principessa, alla quale si rivolge per essere salvato dalla forca. Quello che non riuscì ad ottenere da vivo, lo ottiene da morto, con la sua santificazione a parte di chi lo aveva prima deriso e poi perseguitato.


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