Antonio Garcèa un patriota calabrese poco conosciuto
di Maria Lombardo
Antonio Garcèa, nato in Calabria nel 1820 a San Nicola di
Vallelonga, fu un patriota risorgimentale, rinchiuso per undici anni nelle
carceri borboniche, e poi combattente tra 1859 e 1861 con l'esercito sardo e
con Garibaldi. Aveva avuto come compagni di battaglie, prigionia, fughe,
avventure, speranze e delusioni Carlo Poerio (amico intino a cui lascia un
pezzo di aorta), Nisco, Castromediano, Pironti, Settembrini e tanti altri. Uomo
rude, coraggioso, leale e tenace delle Calabrie, sarebbe rimasta poco nota per
molto tempo. Giovanna Bertola, piemontese di Mondovì, lo sposò diciottenne nel
1861, Ufficiale del Regio esercito e poi impiegato delle ferrovie lui,
pedagoga, fondatrice e responsabile di istituti di insegnamento femminile lei,
entrambi facevano parte di quell'élite alla quale, dopo aver costruito
l'Italia, era affidata la speranza di costruire “d'azeglianamente” gli
italiani. Se volete approfondire nel blog troverete un pezzo sulla Bèrtola! “La
somma delle vite di Antonio e Giovanna copre un secolo, il loro percorso comune
(1861-1878) ne occupa la parte centrale e corrisponde circa ai due primi
decenni dello stato unitario, di cui ognuno di loro, in base a educazione ed
esperienze molto diverse, aveva fatto ideale di vita e condizione necessaria
alla modernizzazione della società italiana. Il loro impegno diretto nella vita
attiva, durato per lei fino al 1916, copre ben settant'anni di questo lungo
secolo". Vito Teti, antropologo, racconta di aver cominciato questo viaggio
partendo da una piccola teca di legno custodita nella biblioteca comunale del
suo paese: San Nicola da Crissa, in provincia di Vibo Valentia. Lì era infatti
custodito un pezzo di aorta del patriota Carlo Poerio, “lasciato in segno di
amicizia e di riconoscenza ad Antonio Garcèa, compagno di battaglie e di
prigionia durante gli ultimi anni del Regno borbonico”, una di quelle tipiche
reliquie del nascente culto civile della nuova Italia. Si è poi aggiunta la
scorta di vari documenti d'archivio e privati, e un racconto scritto dalla
stessa Giovanna dopo il matrimonio. “Testo esemplare, vero monumento edificato
dalla giovanissima moglie in onore degli anni di lotta del marito, e
testimonianza della sua adesione personale a un modello di totale impegno
politico ed etico”. Grazie al prof. Teti che ho imparato anch’io ad apprezzare
queste figure e ricostruire la storia senza uscire da retoriche nazionali e da nostalgie
neoborboniche". La stessa “storia dell'incontro tra un "vero figlio
delle rupi calabre" e la "Mammagrande" piemontese, che girano
l'Italia per affermare il loro credo, è metafora di un'altra storia tra sud e
nord, uomo e donna, passione e ragione, ceti privilegiati e ceti popolari. Un
altro modo di "fare l'Italia" era possibile e il Risorgimento non
sempre è stato "tradito". Forse, però, bisogna sottolineare che
probabilmente la vita ribelle di Garcèa, Antonio Garcèa si ammala di
broncopolmonite: ricoverato all’Ospedale di Santo Spirito a Roma muore il 28
aprile: si fa seppellire con la divisa di galeotto e lascia agli eredi la
divisa garibaldina.
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