L’ARAZZO DI GERACE, UN CAPOLAVORO FIAMMINGO NELLA LOCRIDE
di Maria Lombardo
Una raffinata tecnica di realizzazione al pari della scelta
dei materiali, filati dalle policromie morbide e ricchi di sfumature. E’
l’arazzo di Gerace di Jan Leyniers (1630 – 1686), autentico capolavoro
fiammingo che ora trova la sua definitiva collocazione nel Museo Diocesano di
Gerace (Reggio Calabria) dopo la presentazione del restauro avvenuta alla
Galleria Nazionale di Cosenza. Preziosi oggetti d’arredo prodotti in gran parte
tra la Francia e le Fiandre, gli arazzi si diffondono in tutta Europa a partire
dal Medioevo, raggiungendo l’apice della fortuna in età moderna, tra il XVI e
il XVIII secolo. Appesi alle pareti o stesi sul pavimento, impreziosivano gli
ambienti di rappresentanza delle residenze nobiliari, offrendo molteplici
vantaggi. Se da un lato, infatti, consentivano un migliore isolamento termico,
proteggendo dal freddo e dall’umidità, dall’altro potevano essere facilmente
sostituiti offrendo soggetti adatti ad ogni occasione. A differenza degli
affreschi, inoltre, potevano essere facilmente trasportati da una residenza
all’altra.L’arazzo rappresenta un’affollata scena venatoria, incorniciata da un
abbondante festone in cui s’intrecciano anticaglie ed elementi floreali e
zoomorfi. Entro un fitto bosco illuminato da un cielo terso sta per avere
inizio la battuta di caccia. Al centro, in primo piano, due giovani
s’incontrano e si accingono ad un abbraccio amichevole. Poco dietro è
un’imponente figura femminile, un’eroina o una divinità. Attorno a loro un gran
numero di figure secondarie, alcuni alle prese con i cani, altri in groppa ai
loro cavalli intenti a suonare buccine finemente cesellate.
Ancora incerta è l’identificazione del soggetto, l’ipotesi più accreditata tra quelle finora proposte, è che l’arazzo costituisca il singolo elemento (ad oggi l’unico noto) di un ciclo più ampio riferito al mito di Meleagro e Atalanta. A conferma di tale supposizione interviene la presenza dei due leoni che rievocano la drammatica fine di Atalanta e Ippomane, testimoniando l’intenzione di legare tra loro, in un sottile gioco di rimandi, le varie scene del mito. Poco credibili, tuttavia, risultano alcune identificazioni avanzate in passato che riconosce nella scena centrale l’incontro tra Meleagro ed Eneo, oppure tra lo stesso eroe greco e l’amata Atalanta, tema già trattato da Leyniers nell’arazzo custodito presso l’Art Institute di Chicago. La prima ipotesi non è credibile in quanto Eneo, padre di Meleagro, è sempre rappresentato, in rispetto del dato anagrafico, con le fattezze del saggio; la seconda è confutata dalle sembianze chiaramente maschili di entrambi i protagonisti. In un’ultima analisi, volendo rimanere nell’ambito dello stesso mito, si è portati a riconoscere nell’incontro centrale quello tra Meleagro e uno degli eroi accorsi per affiancarlo nella caccia al cinghiale . Il restauro dell’arazzo di Gerace è stato curato dal Laboratorio di restauro tessile “La trama e l’ordito” di Simonetta Portalupi con la direzione scientifica di Nella Mari, storico dell’arte direttore coordinatore Soprintendenza ai beni storici, artistici ed etnoantropologici della Calabria. Il manufatto si estende in senso orizzontale per un’altezza di 380 centimetri ed una lunghezza di 564 cm. Gli orditi sono in lana non tinta color avorio, ben ritorta e di scarso spessore rispetto ai fili di trama policromi in lana o in seta.La lettura dell’immagine si presentava integra nonostante lo stato di conservazione materico del manufatto fosse estremamente compromesso. Le cause del degrado sono da imputare ad alcuni materiali costitutivi, in particolare i filati serici, e alle modifiche intercorse negli anni sull’arazzo per i restauri subiti e i sistemi di esposizione utilizzati. Lo studio dell’arazzo è stato condotto mediante la diagnostica fisica multispettrale, secondo una metodologia che approccia il manufatto come si trattasse di un dipinto. Le indagini diagnostiche sono state effettuate dal Laboratorio di Diagnostica della Soprintendenza calabrese e di Valentina Cosco, diagnosta.
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