IL COMPLESSO MONASTICO DI SANT’ELIA LO SPELEOTA A MELICUCCÀ (RC)


 di Maria Lombardo

Alle pendici settentrionali dell’Aspromonte, nel comune di Melicuccà, tra gli uliveti che caratterizzano la zona, su una parete di tufo con cavità e anfratti, sorge un antico complesso di grotte eremitiche che ospitarono nell’alto medioevo il cammino ascetico di Sant’Elia Lo Speleota, una delle più importanti testimonianze archeologiche della grecità Bizantina nell’Italia Meridionale. Nell’XI secolo il cenobio, che aveva il titolo di "imperiale monasterium", segno di particolare attenzione da parte dell'imperatore, aveva acquistato grandi possedimenti, fra cui la vasta contrada Bosco, e molte dipendenze e villani. Ne parla un decreto di Roberto il Guiscardo del 1062! Nel 1162 il convento ospitava 13 tra ieromonaci e monaci, come appare dal contratto di vendita redatto in quell’anno e pubblicato da Guillon. Nel 1325 Il monastero era incluso nelle liste delle decime come risulta dalle Collettorie dell’Archivio Segreto Vaticano, e pagava "tar. septem et gr. decem". Nel 1457 la visita di Atanasio Calceopulo registra nel "Monasterium Sancti Eliae de Spelunca" solo due monaci e due inservienti: "invenimus abbatem Arsenium cum quoddam fratre Andriano et duobus aliis parvulinis". Il convento, soggetto alla diocesi di Mileto, è ormai "totum ruinatum". Il 29 aprile 1551, la visitazione dell’Archimandrita Marcello Terracina, ordinata da Papa Giulio III, trova "tantum unum monachum graecum ordinis Sancti Basilii". Nel 1601 il monastero fu affidato ai Cavalieri di Malta dell’Ordine gerosalemitano che tenevano la Commenda di Melicuccà. P. Fiore annovera il convento tra i "Monasterij basiliani con ancora in fiore l’osservanza monastica" nel 1743. Il 24 maggio del 1754 un’immagine di Sant’Elia custodita nella grotta iniziò a sudare e si narra anche che sotto l’occhio sinistro comparve un rivolo di sangue. Il complesso sacro rovinò quasi totalmente con il terremoto del 1783, che provocò la morte di tre dei nove monaci che ancora vivevano nel monastero. Dopo il terremoto, Ferdinando IV di Borbone decretò la soppressione dei conventi, i cui beni furono incamerati dalla Cassa Sacra e devoluti a favore dei sinistrati. Così, con la fine dell’Ordine Basiliano in Calabria, il monastero, che per oltre otto secoli aveva svolto un ruolo importantissimo, piombava nell’oblio. Nel 1855 la grotta ricevette la visita del vescovo di Mileto, mons. Filippo Mincione, il quale promosse lavori di restauro e la costruzione di un altare, come testimonia la lapide commemorativa posta sulla parete di fondo della grotta, dove si legge anche “Helias fugat demones”. Come attesta la lapide posta sul lato destro dell'entrata, nel 1953 furono realizzati dei lavori per consolidare l'accesso e la stabilità della grotta. Nel 1954 fu di nuovo restaurata dall’arciprete Felice Adornato ed eretto un nuovo altare, ancora oggi utilizzato per le celebrazioni, dietro al quale è presente quello ottocentesco, che nasconde, a sua volta, quello originario, intitolato ai SS. Pietro e Paolo. La grotta più ampia, conosciuta come la “divina e famosa grotta” oggi è oggetto del culto popolare ed è l’unica lasciata intatta dai terribili terremoti. Alta oltre quattro metri e profonda diciott ospita la miracolosa sorgente detta “acqua del giardino di S. Elia” o àghiasma (“fonte sacra”) una sorta di acquasantiera naturale in pietra, che raccoglie l’acqua che gocciola all’interno della grotta, e alla cui fonte si compirono diversi miracoli. Sulla parete laterale dell’altare è scolpita la frase di Sant’Elia: ”L’acqua che gocciola dalla pietra inumidita della grotta ha la virtù di sanare”. Impressionanti sono le iscrizioni-graffiti presenti su tutte le pareti della grotta, segno della frequentazione costante da parte dei fedeli che hanno lasciato un “ricordo” indelebile del loro passaggio. Prossime alla chiesa sono due grotte che ospitano una sorta di fattoria rupestre utilizzata dai monaci. La prima è dotata di un palmento seicentesco, erede della lunga tradizione di produzione vinicola che risale già al decimo secolo. La vasca per la spremitura dell’uva ha una forma allungata ed è rivestita di malta cementizia. Da un ugello sul fondo il mosto defluiva nella seconda vasca, posta più in basso e destinata alla decantazione e alla fermentazione. La seconda grotta contiene un grande silos per la conservazione dei cereali, a profilo ovoide, doppio, scavato nella roccia del piano pavimentale. Le indagini archeologiche della Soprintendenza calabrese hanno anche messo in luce un’area cimiteriale con undici tombe a fossa di forma antropomorfa e di età bassomedievale scavate nel banco roccioso, con orientamento N-S o E-O. Nulla resta delle loro lastre di copertura, posate sulle spallette delle fosse, riusate nei secoli successivi. La necropoli, messa in luce nel 2005, nasce e si organizza intorno alla tomba di un personaggio importante della comunità monastica, isolata all’estremità del terrazzo e sormontata da un piccolo monumento funerario. Nel complesso rupestre erano presenti anche un mulino, una salina e sicuramente lo scriptorium dove Sant’Elia si dedicava alla copiatura di testi sacri. Nei periodi di massimo splendore le strutture ospitarono oltre centocinquanta monaci. A poca distanza dalla parete rocciosa, sede dell’insediamento, sono ancora visibili i resti del monastero settecentesco.L’area archeologica rupestre del complesso monastico di Sant’Elia lo Speleota oggi restaurata e attrezzata per le visite, è una bella testimonianza del monachesimo medievale, di quella vita in grotta che caratterizza numerosi insediamenti nelle pieghe della Calabria ionica e tirrenica. Sono stati realizzati e protetti i percorsi che portano all’intero complesso archeologico permettendo agli appassionati e ai pellegrini di fede latina, greca e ortodossa che visitano la famosa grotta del santo italo-greco di poter accedere anche alle zone attigue alla chiesa-grotta. La grotta, infatti, è importantissima anche da un punto di vista ecumenico in quanto rappresenta un luogo d’incontro tra cattolicesimo e mondo ortodosso i cui rappresentanti si ritrovano spesso insieme a fare memoria del santo venerato in comune. È stata realizzata, inoltre, un’area picnic. Un viaggio sempre affascinante che rivela una Calabria che ha accolto e cullato civiltà e culture antiche, intrecciandosi con le più vivide leggende, densa di una storia che costantemente si schiude allo sguardo di chi ne cerca le origini, di chi ha occhi curiosi e profondi come la stessa storia richiede.


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