E don Bruno rischiò di perdere la cappa.
di Maria Lombardo
Tutto successe nell'anno del
Signore 1834, quando per meriti personali, don Bruno Maria Tedeschi, che allora
ricopriva la carica di arciprete della chiesa matrice di Serra San Bruno, fu
designato dal papa Gregorio XVI° ad essere nominato vescovo. La bella notizia
si diffuse subito e alle congratulazioni di tutto il paese seguì poco dopo la
convocazione di don Bruno a Roma per ricevere, dal santo padre, la consacrazione
a vescovo .E don Tedeschi, accompagnato da alcuni parenti, si diresse alla
capitale. Durante il viaggio sostò a Napoli contento del lustro che la
benemerenza che stava per ricevere avrebbe dato non solo alla sua persona, ma
anche al paese e ai suoi parrocchiani, ansiosi di vederlo tornare con la mitra
in testa. Ma qualcosa nella permanenza nella città del Vesuvio andò storto. Per troppa fiducia
nelle persone che gli stavano attorno, il parroco serrese commise il grave
errore di recarsi in una delle tipografie napoletane e far stampare la
Pastorale, cosa che avrebbe dovuto fare dopo la nomina effettiva a Vescovo .Probabilmente
don Bruno aveva approfittato dell'occasione, dato che a Napoli vi erano diverse
stamperie che magari praticavano buoni prezzi, mentre dalle parti di Serra le
tipografie scarseggiavano e avrebbe dovuto senz'altro fare maggior fatica a
trovarne una e spendere anche di più. Evidentemente
egli contava sul silenzio dei suoi
seguaci e sulla segretezza del fatto, pensando che nessuno avrebbe
rivelato anzitempo l'avvenuta stampa della Pastorale .La sua fiducia però fu
mal riposta perchè il tradimento ci fu. Poco dopo, infatti, un malevolo che
precedentemente si era offerto in qualità di mezzano per il disbrigo dei suoi
affari in Napoli, avendo saputo della pubblicazione anticipata del documento
vescovile, lo denunciò alla Santa Sede. Il faccendiere infedele fu licenziato
in tronco, ma ormai la frittata era fatta. Si trattava in effetti di un vero
atto di trasgressione delle regole canoniche e di disubbidienza alle direttive
del Sommo Pontefice che lo aveva scelto per quella investitura proprio per la
sua fedeltà alle regole canoniche, per la sua rettitudine morale e per l'ubbidiente
sudditanza alla sacra romana chiesa. Giunto alla Santa Sede don Bruno trovò il
suo spedizioniere grandemente afflitto per quello sbaglio commesso, tanto più
che il Cardinale protettore anche lui era molto dispiaciuto e contrariato
dell’accaduto e per quanto non erano rare simili mancanze, da lui nessuno se lo
aspettava. Don Bruno, appresa la conferma che l'increscioso fatto era giunto
all’orecchio papale, si mise a piangere non tanto perchè non sarebbe più
diventato vescovo, ma per la brutta figura che avrebbe fatto coi serresi e con
quanti lo conoscevano e lo apprezzavano; tant'è che gli venne in mente di
ritirarsi in un convento e trascorrere la sua vita nel nascondimento facendo
penitenza per espiare quell'incauta colpa. Ma fortunatamente tutto si concluse
per il meglio. Il Papa, scartate sicuramente le ipotesi dell'ignoranza e della
trascuratezza che certo non si addicevano ad un personaggio della sua portata
culturale e religiosa e convintosi che don Bruno aveva agito in buona fede, lo
perdonò e lo consacrò solennemente vescovo in Roma il 20 aprile del 1835.E don
Bruno rischiò di perdere la cappa, ma ritornò al suo paesello in veste di Monsignor
Tedeschi vescovo e così fu accolto trionfalmente a Serra. Qualche mese più
tardi si insediò nella sede vescovile di Rossano dove si distinse per la sua
incisiva azione pastorale e per la sua buona nomea di uomo saggio e timorato di
Dio. Pur lontano dalla sua terra si adoperò, presso il Re Ferdinando II° di
Napoli per il ritorno dei Certosini a Serra. Il Re ne dispose il reintegro e
quando giunsero dalla Francia i primi due monaci fu proprio lui, in persona, come
religioso e figlio di Serra ad accompagnarli a prendere possesso dell'antica
Certosa.
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