4 novembre 1918, 20.046 CALABRESI NON RITORNANO A CASA
di Maria Lombardo
Conclusa la grande guerra si rivolge a Cosenza l’ultimo
ricordo all’impegno di tutti i calabresi di ogni arma e specialità che hanno
svolto in maniera determinante il dovere di soldati nell’immane tragedia, ed in
particolare a quella enormità di 20.046 calabresi che non sono ritornati a
casa. Si festeggiano i reggimenti di fanteria mobilitati nei depositi delle
Calabrie, con militari in buona parte nati nella regione, come quelli delle
brigate Catanzaro, Cosenza e Brescia, che hanno tenuto alto il nome delle genti
delle Calabrie ed aver vinto, oltre alla guerra dichiarata, anche quella non
dichiarata, e per questo non meno importante, dei pregiudizi che da sempre
affliggono i calabresi e meridionali in genere. Ma a smorzare l'euforia
collettiva c’è la terribile spagnola, morbo influenzale che sta provocando più
vittime della guerra. Nessuno è risparmiato dal morbo. Lo stesso generale
Carmelo Scardino, comandante del Presidio militare di Cosenza, che ha sempre
rassicurato la popolazione, rimane contagiato durante una visita ai soldati
ricoverati a Rossano e a Castrovillari, e muore dopo alcuni giorni. I sindaci
non sanno come gestire l'emergenza: la disinfestazione delle case è inesistente
poiché non si trova calce e la mano d'opera necessaria, la maggior parte dei
medici sono ancora inquadrati nel Regio Esercito e non ci sono risorse per
curare gli ammalati. Il Ministero della guerra fa rientrare diversi dottori dal
fronte, ma la forma virale della spagnola è incurabile e il loro compito si
limita alla divulgazione di generici consigli come curare l'igiene personale,
pulire le abitazioni ed evitare la frequentazione di luoghi pubblici, comprese
le chiese. La città come i paesi della provincia si presentano deserti e molti
infermi immobilizzati a letto si salvano dalla fame solo grazie a grandi
quantitativi di latte condensato distribuito dalla Croce Rossa Americana.
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