La casa del confino di Cesare Pavese a Brancaleone (RC)


 di Maria Lombardo

Nell’affollato  Corso Umberto I di Brancaleone, un paesino in provincia di Reggio Calabria, c’è una casa dove passò il confino Cesare Pavese. Cesare Pavese è stato mandato in esilio nell’agosto del 1935 non tanto perché addentrato in prima linea in questioni politiche contro il regime, ma in quanto molto vicino ad intellettuali antifascisti del calibro di Leone Ginzburg, Giulio Einaudi, Massimo Mila. Il ritrovamento presso la sua abitazione del carteggio tra Altiero Spinelli e Battistina Pizzardo, donna di cui era innamorato, gli è costato la condanna a tre anni di confino a Brancaleone che era, allora, l’ultimo centro abitato d’Italia. Di fatto, però sconterà solo sette mesi presso il paesino situato sulla costa ionica. La casa del confino è oggi intatta, ma ha rischiato nel corso degli anni di venire demolita, in quanto rimasta disabitata per un periodo fino al 2000.  Non riesco ad immaginare il danno che noi tutti avremmo subìto se non ci fosse stato l’intervento di questo privato che ha salvato dall’oblio e dalla definitiva perdita un luogo così importante! Cesare Pavese è giunto a Brancaleone in manette e gli abitanti dell’epoca, che sono andati ad accoglierlo aspettandosi un criminale, hanno iniziato a chiamarlo prima “u confinatu”, poi “u professure”. Inizialmente, lo scrittore alloggerà presso l’Albergo Roma per poi trasferirsi nella stanza che oggi ricordiamo come la dimora del confino, dal momento che la permanenza in albergo aveva per lui un costo troppo elevato. La scrivania in legno è proprio quella su cui Pavese ha iniziato il “Mestiere di vivere” e trovarsela lì, di fronte, con questa consapevolezza crea un po’ di sgomento, quello che si prova quando si scopre che un oggetto comune e di poco conto nasconde in realtà un grande valore. La stanza è stata allestita in modo tale da ricostruire fedelmente l’atmosfera che si respirava all’epoca in cui ha alloggiato lo scrittore: troviamo un’anforetta, simbolo della vita quotidiana di quegli anni, una valigia che veniva utilizzata ai tempi , una cravatta e delle manette, a richiamare quelle indossate dallo scrittore al suo arrivo in Calabria. Da segnalare è poi un particolare della casa che passa, forse, inosservato: il pavimento che attualmente si trova sotto i piedi dei visitatori è proprio quello che è stato calpestato per i mesi della sua permanenza a Brancaleone da Pavese! La finestra della stanza si affaccia su un orto al di là del quale c’è la ferrovia  e poi proseguendo oltre troviamo il mare. Vorrei concludere menzionando le parole che Cesare Pavese ha riservato agli abitanti di Brancaleone… le ho trovate meravigliose! Mi hanno colpito perché rivelano tutta la sorpresa dell’intellettuale del nord Italia nel venire a contatto con il modo di esprimersi, con la mentalità e il modus vivendi della popolazione autoctona del sud.“La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui una volta la civiltà era greca. Persino le donne che, a vedermi disteso in un campo come un morto, dicono -Este u’ confinatu- lo fanno con una tale cadenza ellenica che io m’immagino di essere Ibico e sono bell’è contento”.Vi consiglio, se vi capita di passare dalle parti di Reggio Calabria o lungo la costa ionica, di fare tappa in questo luogo delizioso e di trascorrere una mezz’oretta in compagnia del ricordo di Cesare Pavese!

 


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