Saccheggio a Casa Sculco episodio di reazione borbonica in Calabria!



di Maria Lombardo



 Dopo rivoluzione francese del 1789 che costò sangue e sofferenze ovunque, e altrettanto in Calabria, le armate francesi strariparono conquistando anche Crotone non solo con le ideologie, ma con le armi. I francesi furono, in un primo tempo, accolti in tripudio dal popolo , tanto che venivano presi d’assalto coloro che non si schieravano con le nuove idee. Le belle parole di eguaglianza, libertà, fraternità vennero esaltate pure da molte famiglie bene come i Soriano, i Lucifero,i Berlingeri, i Zurlo, i Villaroia. Una di esse, quella degli Sculco, pagò, poi, a caro prezzo quella incondizionata esaltazione. La reazione Borbonica, infatti, non si fece attendere per molto. Il Cardinale Ruffo, nominato luogotenente e vicario del Re, nel 1792 occupò, con suo rabberciato Esercito Sanfedista, la città che allora era un capoluogo di 6000 abitanti, debolmente fortificato da vecchie mura e dal Castello di Carlo V° e difesa da 200 cittadini atti alle armi, e da 32 francesi, alcuni soldati infermi provenienti dall'armata francese in Egitto e capitati, per riparo dalle tempeste, nel porto di Crotone. A capo della difesa era il Capitano Ducarne, siciliano. Il combattimento (o meglio la buona zuffa) durò poche ore. Quei pochi e malmessi difensori furono sopraffatti dalle orde del Cardinale, rese avide e fanatiche per le promesse del libero saccheggio della cittadina. Per due giorni e due notti i vincitori infuriarono nel sacco e nelle stragi, negli stupri e nelle torture che facevano sciogliere la lingua a chi aveva un gruzzolo nascosto. Approfittando della confusa eccitazione del momento, uno svergognato Sanfedista, ex guardiano di maiali, al servizio dell'azienda agricola degli Sculco e da essi licenziato per cattivo comportamento e furti, si diresse, con alcuni degni colleghi, proprio al Palazzo Sculco in Piazza della Pergola, ora Ducarne. A palazzo Sculco trovarono il portone sprangato ed a guardia del palazzo stesso il fido ed anziano dipendente Giuseppe Rossi. Si arrampicarono attraverso i finestroni prospicienti la piazza poi, abbattuta a spallate la porta d'ingresso, entrarono e di fronte a loro vi fu il fedele, atterrito e tremante Rossi. Con i pugnali alla gola lo minacciarono di morte e lo costrinsero a rivelare il nascondiglio segreto di casa Sculco. Esso si trovava in uno sgabuzzino sotto al pavimento e vi si accedeva attraverso una botola coperta da un armadio di biancheria. Venne trovata la pesante cassa di ferro a triplice serratura e sventrata a colpi di piccone. Rivelò contenere la bella somma di 175.000 ducati oltre a gioielli, argenteria ed altri preziosi che vennero subito onestamente divisi fra i ribaldi. Non contenti, essi fracassarono quadri, specchi, mobili e gettarono i rottami nella piazza della Pergola e vi diedero fuoco ballando e tripudiando, ebbri di vino e lussurie sputavano odio verso gli antichi padroni. Si diressero poi verso i magazzini delle derrate alimentari degli Sculco, dov'erano conservati grano ed altre provviste e li misero al sacco. Finalmente soddisfatti, disertarono dall'esercito Sanfedista per tornare alle loro case. Ma si sa che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi: l'ex guardiano di maiali, sulla via del ritorno, venne assassinato e derubato dai suoi stessi degni compari che lo avevano spalleggiato nel furto con scasso. Saccheggi, violenze ed uccisioni proseguirono per altri due lunghi giorni, ma a quei gaglioffi non gliene fregò certo più di tanto perché sicuramente pensarono di dileguarsi con quel prezioso bottino già arraffato.

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