Anche Giangurgolo la maschera calabrese usata dai Napoletani per ridicolizzare i calabresi.





di Maria Lombardo



Nelle scorse stagioni carnevalesche vi ho parlato in questo blog di Giangargiulo la maschera della Regione Calabria. Questa maschera ha avuto molta popolarità anche in Europa! Durante il predominio spagnolo serviva per prendere di mira e sbeffeggiare la classe dirigente del periodo.
 La maschera del Capitano valoroso e spaccone, che assunse volta a volta i nomi di Spavento, Spezzaferro, Spezzamonti, Fracassa, Bombardone. Giangurgolo, cioè Giovanni dalla grande gola. Insomma non un personaggio di cui fidarsi ! Durante l’800 però le cose mutano il pregiudizio e la satira della Capitale si sposta sui Calabresi, popolo ai margini dello Stato povero ed arretrato. A questo punto la Commedia dell’arte Napoletana non lo vede più come lo spagnolo da sbeffeggiare ma crea appositamente  il tipo calabrese del Capitano. Il Giangargiulo ottocentesco diventa  da
 figura dell’eroe a una sorta di macchietta che nasconde, sotto discorsi da « bravo », una caricaturale dose di paura. A Giangurgolo piacciono le donne, però, sovente, egli si astiene dal corteggiarle perché teme trattarsi di uomini travestiti ha un appetito insaziabile, ma arriva a digiunare quattro giorni consecutivi perché non ha un soldo in tasca e non vorrebbe che il rifiuto di un piatto di maccheroni costituisse un’offesa tale da costringerlo a battersi. I Napoletani non andarono col sottile andavano a rappresentare quello che pensavano dei poveri calabresi. Poveri in tutti i  sensi!
« Quando io cammino — dice Giangurgolo — la terra trema sotto i miei piedi. E io cammino sempre…. ». Però, non appena si profila alla cantonata un gendarme, o un ragazzino gli grida un frizzo alle spalle, la maschera dimentica il nobile lignaggio e il conclamato valore e corre a nascondersi con una comica agilità che ha destato per secoli l’ilarità delle platee calabresi. Con gli umili, invece, si comporta da gradasso: ordina lasagne e salami in quantità degne di Gargantua, e guai a chi accampasse la pretesa di veder saldato il conto. Riferiscono i commenti dell’epoca che, a rovesciar Giangurgolo per i piedi, dalle sue tasche non uscirebbe un grano (cioè quattro centesimi) a questa maschera si può dunque ricondurre l’espressione scherzosa, frequente nelle riviste, per la quale arricchire si dice far grano.  Non c’è che  dire una sorta di razzismo “ante litteram”! Con questo fare di sbeffeggiamento Giangargiulo fu famoso come Arlecchino, Pulcinella e gli altri protagonisti della Commedia dell’Arte.La maschera calabrese per eccellenza che si esibiva, con pari dignità e importanza delle altre maschere, sui palcoscenici di Napoli, Firenze, Venezia. Applaudito, ricercato, amato e interpretato dai più famosi attori del tempo. Nel secondo 8oo, dopo l’unificazione.... dell’Italia, Giangurgolo come tante altre cose belle della Calabria, sparì dalle scene e si perse anche il ricordo di questa maschera ricca di simpatia e originalità. Forse perchè la Calabria, ebbe ancor meno motivi per ridere, e molti di più per piangere.  Direi che è giunta l'ora che nel neomeridionalismo si faccia davvero ordine e storia vera.



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