Le miniere di Longobucco (CS): estrazione dell'argento di ottima qualità


 

di Maria Lombardo 


Lipinsky afferma: “come la fortuna di Atene era legata alle miniere di Laurion, quelle di Sibari a Longobucco”. Per questo motivo alcuni studiosi hanno identificato l'odierna Longobucco con la città di Temesa o Tempsa , l'antico centro urbano di cui parla Omero nell'Odissea.  Strabone nel IV libro della Geografia afferma che tra le zone più ricche di minerale argento e rame e nella terra dei Bruzi e “themesen “Longobucco. Dove vi e’ la più grande manifestazione di galena argentifera,coltivata nelle piu’ remota antichita’. Sembra che l’antica Sibari dovesse la sua potenza dell’argento grazie alle miniere di Longobucco(Themesen) e da questi argenti venivano coniate le monete del IV Sec. A.C. Tuttavia anche Livio cita le miniere  l’argentario citato da Livio si colloca nella zona. La mineralizzazione e presente in una vasta area allungata nel territorio di Longobucco e in particolare nelle localita’ di Agutteria, Anghisto, Bhonia, Castello, Giardini, Fasone, Macrocioli, Regginella, San Pietro, Spartari.  Citata anche nelle Variae di Cassiodoro del VI secolo, la Galena Argentifera (solfuro di piombo con tracce di argento) è stata la ricchezza del Mediterraneo.I primi documenti relativi all'attività di argenteria a Longobucco risalgano al XII secolo; nelle miniere si lavorò fino al 1783.

Nel 1050 ha inizio la conquista normanna, con la discesa in Calabria di Roberto il Guiscardo che si insediò a Sant’Antonio di Stribula, presso Castrovillari, e poi proseguì fortificando S. Marco Argentano diretto verso sud: qui assediò Cosenza, Amantea e Aiello Calabro. Nel 1057 arrivò in Calabria anche Ruggero d’Altavilla, che aiutò il fratello Roberto a conquistare Squillace. Nel 1061, con un lungo assedio e la presa di Reggio, terminava la conquista della Calabria e Roberto se ne proclamò duca costituendo il Ducato di Calabria con capitale Reggio. Con la sconfitta dei Bizantini e l’allontanamento degli Arabi si chiude così il rapporto con l’Oriente.

La Calabria, terra di tradizione greca, inizia il suo percorso di latinizzazione; pian piano il rito greco viene soppiantato da quello latino. Ruggero d’Altavilla diede tranquillità e nuovo impulso economico soprattutto alla sericoltura, che divenne settore trainante nella produzione calabrese grazie ad una vera e propria industria serica affiancata all’arte del ricamo. Del periodo normanno a Longobucco rimangono a testimonianza la torre campanaria, il fonte battesimale ed il mostriciattolo del portale della chiesa. Tali opere fanno comprendere l’importanza della cittadina che era in quel periodo un centro minerario prosperoso ricco di argento e di piombo, e aveva una scuola di artisti argentieri. A Ruggero d’Altavilla successero prima il figlio Guglielmo e poi il nipote Guglielmo II, quindi il regno fu rivendicato da Costanza, figlia di Ruggero II, moglie del terribile imperatore Enrico VI e madre di Federico II di Svevia. Enrico VI, secondo un documento dell’epoca, inviò per la gestione mineraria il suo familiare Pietro di Livonia: tale documento fa riferimento anche alle miniere di “Longoburgi” della provincia di Calabria. Alla sua morte, nel 1197, subentrò Ottone IV di Brunswick e quindi Federico II, ancora giovanissimo ma con le idee già molto chiare. 

Sotto l’illuminato regno di Federico II – sua la definizione di “popolo sovrano” – Longobucco ebbe grande sviluppo tanto nella pastorizia quanto nel commercio di lana, seta, tessuti e legname. Dal legno del pino laricio, dell’abete bianco e del faggio si ricavavano le travi impiegate nelle costruzioni civili e navali. Oltre al legno, altri tipici prodotti silani, come la resina e la pece, furono assai valorizzati e la sericoltura raggiunse uno dei momenti di massima espansione. Federico II diede un ulteriore impulso all’economia calabrese istituendo fiere nei centri più importanti e in determinati periodi dell’anno. Di quel periodo florido per Longobucco troviamo traccia nella biografia di Gioacchino da Fiore, abate, teologo e scrittore italiano vissuto tra il 1130 e il 1202, una delle figure più importanti di tutto il Medioevo italiano ed europeo. Gioacchino da Fiore si recò a Longobucco insieme a due monaci suoi seguaci per commissionare ad un artigiano argentiere un calice decorato con i simboli gioachimiti. Da alcuni documenti risulta che si servivano a Longobucco non solo i monaci florensi, ma anche molti monasteri basiliani di rito greco. Lodovico Bianchini, economista, storico e politico napoletano (1803-1879), ricorda che durante il regno di Federico II «furono esplorate parecchie miniere di ferro e di argento; e qui è bello ricordare come quelle di Longobucco molto argento somministravano acconcio ad improntare monete». Le miniere di ferro e di argento – sulle quali la corona sveva percepiva il 10% del valore del metallo, nelle proprietà private, e il 20% nelle proprietà demaniali – continuavano ad essere un’importante risorsa. Morto l’imperatore Federico II la luogotenenza in Italia passa al figlio Manfredi di Sicilia, principe di Taranto, che morirà nel febbraio 1266 durante la battaglia di Benevento, sconfitto da Carlo I d’Angiò.

 
Le montagne intorno a Longobucco sono ricche di vari minerali. Ma è la galena argentifera che era conosciuta estratta ed apprezzata  da Sibariti, Crotoniati e Romani.  Ruggero d’Altavilla diede tranquillità e nuovo impulso economico soprattutto alla sericoltura, che divenne settore trainante nella produzione calabrese grazie ad una vera e propria industria serica affiancata all’arte del ricamo. Del periodo normanno a Longobucco rimangono a testimonianza la torre campanaria, il fonte battesimale ed il mostriciattolo del portale della chiesa. Tali opere fanno comprendere l’importanza della cittadina che era in quel periodo un centro minerario prosperoso ricco di argento e di piombo, e aveva una scuola di artisti argentieri. Tutto ebbe inizio nel 1197 Enrico VI invia Pietro di Livonia nelle Calabrie per monitorare l'estrazione del prezioso materiale. Vigorosissima l'estrazione tanto che nel 1268 vennero portate alla luce  103 marche e 7 once d’argento puro.  Nel 1274 Carlo I ordinò a tutti i funzionari, baroni e università del regno di facilitare all’orefice, Giovanni da Longobucco, l’incarico di fare sondaggi in tutto il territorio in cerca di argento, ferro e rame e al fine di evitare furti e frodi nominò due controllori: frà Raimondo da Bisignano dell’Ordine degli Ospedalieri e Simone de Ligni. Scoperto un nuovo filone di metallo nel casale Bonia, Carlo d’Angiò fece sequestrare il possedimento e solo più tardi restituì il terreno, ma non le miniere.  Ancora nel 1277 da Napoli raccomandava a frà Raimondo di inviare le rimanenze di un’estrazione di metalli preziosi al Castello del Salvatore di Napoli e nel 1279 ordinava al Giustiziere della Valle del Crati Alfredo Sumesat di fornire dei muli e una scorta a Simone de Ligni, procuratore delle argentiere di Longobucco, per trasporto dell’argento a Napoli. Dal 1279 al 1289 furono battute 22.700 once di carlini e altre monete d’oro: gran parte dell’argento proveniva da Longobucco. L’intensa attività di estrazione comportò uno sviluppo fiorente di tutti i settori dell’artigianato. Nel 1277 Longobucco arrivò a contare 4.179 abitanti, ospitando in pianta stabile funzionari della corte e la sede di un distaccamento militare. Sotto i vari governi succedutosi fin verso la fine del settecento, Ad esse sono legati nomi famosi,nella seconda meta’ del Quattrocento durante la dominazione Aragonese concessionario delle miniere e Francesco Coppola il conte di Sarno poi giustiziato per la congiura dei baroni. Ai primi del cinquecento sotto la dominazione Spagnola L’appaltatore e Cesare Fieramosca fratello di Ettore. Durante la dominazione Austriaca il direttore delle miniere e il chimico Khetz uno dei piu’ noti del tempo. Sotto la spinta del governo Austriaco che vi fece venire numerosi Tecnici e Minatori dalla Sassonia,le coltivazioni subirono un notevole impulso. Succesive mie ricerche ai primi dell’800 anno dato esito negativo. Nel 1826 il barone Compagna tentò di rimettere in attività l'antica Argentera, ma già due anni dopo l'impresa veniva definitivamente abbandonata.I manufatti di alta qualità fatti dalle abili mani dei maestri argentieri longobucchesi incantarono il Meridione.Famosissimo il Maestro Giovanni da Longobucco il quale realizzò la croce professionale in argento, conservata ancora nel Duomo di san Marco Argentano. Anche Gioacchino da Fiore si recò nella cittadina silana per la lavorazione di alcuni calici. Siamo però nel 1505 Galeazzo Caracciolo di Napoli ereditò quessto patrimonio da gestire per conto del Re di Napoli. Erano ben cinque le miniere fiorenti nei dintorni di Longobucco, Reynella, Serra Stuppa, Lagonia e Fossi Loco. Il lavoro nelle miniere era ben organizzato si lavorava da marzo a giugno mentre da gennaio si lavorava il materiale lasciato in deposito.  Le squadre di minatori erano composte da 6-8 persone con un caposquadra che rendicontava il tutto. Il lavoro di estrazione avveniva in due turni e la galena estratta veniva frantumata al mulino, pulita e trasportata ai forni per essere lavorata. Il minerale veniva posto in un liquido, la “mamma” e collocato per cinque giorni alla fornace del forno soprano.  Ne deriva il “piombo d’opera” che veniva poi raffinato nel forno sottano. Dopo due ore il minerale ricominciava a fondere fino a quando non si intravedevano le bolle bianche e luccicanti dell’argento. A quel punto si fermavano i mantici del forno e si raffreddava il tutto con acqua fredda. Recuperato l’argento restavano due qualità di piombo. “gritta” cioè piombo puro e il “cinerazzo” cioè il piombo misto a cenere che a volte veniva rifuso. Vi era adiacente all'Argentiera  che apparteneva al Demanio il "Vallone di Macrocioli", sede dei forni, del deposito e della serra. Nei terreni dell'Argentera era vietato tagliare legna, pascolare, seminare, pescare. Non si dovevano manomettere i canali. Agli abitanti di Longobucco era concesso di tagliar legna esclusivamente per uso familiare.  Nessun tribunale, ufficiale o barone poteva intromettersi nei decreti dei lavoratori venivano rispettati dal Re e dai minatori. Oggi i numerosi manufatti in Argento lavorati a Longobucco sono stati spesso donati ai vari Papi che si sono succeduti,oltre la presenza nei vari musei di Napoli Una piccola ma preziosa quantita’ e visitabile presso la chiesa matrice di Longobucco. Ed è proprio in questa Chiesa che si conservail vero Tesoro di Longobucco, la splendida Argenteria del XVIII sec realizzata con il minerale locale. Una croce astile in lamine d’argento con pezzi fusi e cesellati in stile barocco con figure ad altorilievo: sul diritto, Gesù Cristo e sul rovescio la Beata vergine Assunta. E’ un lavoro di pregevole cesellatura del 1736. Un secchiello per l’acqua santa con l’aspersorio e un turbirolo di argento sono della stessa epoca.. Tutti e tre sono elencati nelle opere d’arte della Calabria. Una navicella porta incenso con elegante ansa a voluta, cinque calici di argento, di cui due cesellati, due pissidi, di cui una cesellata e due Ostensori d’argento per il S.S. Sacramento. 

Commenti

  1. Verso il 1442 Alfonso d'Aragona diede al Miles Francesco Lomellini di Genova la concessione delle miniere d'argento ed altri minerali della zona di Longobucco.Questi fece una societa con il nobile veneziano Antonio Michiel per lo smercio e commercializzazione dell'argento proveniente da quelle miniere,ma la societa' one fine verso il 1451 con la morte di Antonio Michiel

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