L’Unità d’Italia voluta dai calabresi: Pasquale Galluppi il filosofo di Tropea (VV).


 di Maria Lombardo 


 

 Pasquale Galluppi discendeva da antica e nobile famiglia della città calabrese di Tropea. Iniziò presto lo studio del latino e poi sia di filosofia e matematica nella sua Tropea poi si trasferì in Sicilia dove fu iscritto al  Seminario vescovile della cittadina peloritana. Intraprese dunque lo studio della teologia a Napoli, seguendo le lezioni di Francesco Conforti. Sposò  Barbara d'Aquino, da cui ebbe quattordici figli, otto maschi e sei femmine. Amava però trascorrere le sue giornate di svago nella residenza privata di famiglia, cioè il castello, Carìa, frazione del comune di Drapia (VV). Attenzione lettori ho già parlato di questo luogo ameno nel blog!Nel 1807 pubblicò a Napoli Sull'analisi e la sintesi; durante i moti del 1820 aderì alla causa liberale sostenendo la riforma costituzionale dello Stato e protestando quindi contro l'intervento repressivo degli Austriaci.Dal 1831 fu titolare della cattedra di logica e di metafisica nell'Università di Napoli. Fu membro dell'Accademia Sebezia e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, dell'Accademia degli Affatigati di Tropea, di quella del Crotalo di Catanzaro e della Florimentana di Monteleone.Il suo merito maggiore consiste nell'avere introdotto in Italia lo studio e la conoscenza della filosofia europea, soprattutto quella kantiana: le Lettere filosofiche furono definite il primo saggio in Italia di una storia della filosofia moderna. Nell’affettuoso ritratto Settembrini dice:”Nelle sue Ricordanze è tra le pagine più vivaci e piacevoli dell’intellettuale e patriota risorgimentale napoletano. Dal brano che segue emerge non solo il quadro preciso dell’atmosfera della cultura e della società meridionale nella prima metà dell’Ottocento, dominata dai soprusi polizieschi e dall’autoritarismo dell’epoca della Restaurazione; ma anche la gustosa rappresentazione dei sentimenti e degli accorgimenti messi in atto dalle minoranze illuminate per resistere e contrastare questa cappa di intolleranza e repressione politica. E la divertente descrizione di come Pasquale Galluppi riuscì a conquistare la sua cattedra di filosofia nell’università fondata nel 1224 da Federico II, lascia altresì trasparire anche lo speciale legame che univa la biografia di Luigi Settembrini alla terra di Calabria. Studioso di letteratura e già allievo di Basilio Puoti, infatti, il patriota napoletano negli anni trenta dell’Ottocento aveva ricoperto la cattedra di Eloquenza presso il Collegio di Catanzaro, e nello stesso periodo era stato, con Benedetto Musolino, tra gli sfortunati promotori della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini in Calabria”. Continua ancora:” Nel brano delle Ricordanze dedicato al Galluppi - la storia del coltissimo ma ingenuo e orgoglioso filosofo che, partito dalla natia splendente Tropea, si presenta direttamente al ministro di Polizia di Ferdinando II per reclamare la nomina alla cattedra di Logica e Metafisica nell’università napoletana, ormai priva di titolare da cinque anni - il climax è rappresentato, da un lato, dalla fiera e stizzita replica del Galluppi (riportata dal Settembrini, con compiaciuta e autobiografica competenza, rigorosamente in dialetto calabrese) alle boriose ma legittime obiezioni del ministro borbonico; d’altro canto, dall’effetto che l’avvenimento ebbe sull’ambiente intellettuale partenopeo, nel quale Galluppi era da molti conosciuto e stimato. Peraltro, al lettore contemporaneo gioverà ricordare che gli eventi si svolgono nella primavera del 1831, e che dunque il ministro in questione – qui non nominato esplicitamente dal Settembrini – presumibilmente era già il famigerato marchese Del Carretto, che proprio quell’anno aveva preso possesso dell’incarico: ovvero colui che sarebbe passato alla storia come il più violento repressore di rivolte contadine e il più spietato persecutore di liberali ed intellettuali (che Ferdinando II chiamava sprezzantemente pennajuoli) del secolo XIX”. Il Galluppi non avendo avuto il diritto di accesso diretto al sovrano, riconosciuto a qualunque suddito; e quando il re non era disponibile, era stato fatto obbligo ai suoi ministri di ricevere al suo posto. Questa consuetudine trovava tuttavia i suoi limiti di fatto nella inconcludenza, farraginosità e corruttela epidemicamente presenti nell’amministrazione borbonica, anche centrale: per cui il tutto si riduceva il più delle volte per i postulanti a interminabili giornate di attesa – facilmente evitabili solo da chi avesse avuto conoscenze a Palazzo o volesse approfittare della permeabilità alle lusinghe di quella amministrazione – spesso frustrate da semplici promesse dei funzionari in sott’ordine o più semplicemente da nessun esito. La pagina su Galluppi si apre invece con la briosa descrizione delle tuttavia plumbee condizioni dell’università napoletana, nella prima metà del XIX secolo. Intellettuale formatosi tra i primi anni del regno di Ferdinando IV e la rivoluzione del ’99, Pasquale Galluppi sembra infatti rimasto legato tutta la vita - nonostante le sconfitte politiche e militari, le repressioni poliziesche, e finanche gli eccidi subiti – alla coda di quella cometa di pensieri, riflessioni, idee, speranze, sogni, volata sul cielo del Regno di Napoli a partire dall’epoca del saggio re Carlo III. Nei primi anni ’40, d’incanto cessò la pur flebile moderazione mostrata precedentemente dal governo di Ferdinando II: l’istruzione venne riportata all’ordine, ed affidata, con un decreto del gennaio 1843, alla direzione di ciascun vescovo, diocesi per diocesi. Come scrive Oldrini, “un’ondata repressiva di violenza mai vista si abbatte sulla cultura”: vengono arrestati Carlo Poerio e Francesco Paolo Bozzelli, colui che sarebbe divenuto l’autore principale della caduca costituzione napoletana del ‘48; la scuola privata di filosofia di Bertrando Spaventa è soppressa; mentre il vecchio Ottavio Colecchi - l’altro grande maestro di pensiero di quegli anni a Napoli, di cui era stato allievo lo stesso Spaventa - non riesce a pubblicare le sue ultime Quistioni. Anche il nostro barone, solitamente chiamato a dare il suo parere al governo sulla pubblicazione degli scritti filosofici nel regno, dopo aver concesso nel ’42 il suo placet per l’edizione napoletana delle Opere di Rosmini, viene ammonito dalle autorità borboniche, a causa dell’autorizzazione alla pubblicazione del Corso di diritto naturale o di filosofia del diritto di Heinrich Ahrens. Questi, un allievo del Krause, aveva rappresentato il diritto in senso deontologico, come espressione di libertà e volontà che formano la ragione giuridica come dovere di attuazione dei fini morali di ciascun individuo. Proprio Vincenzo Gioberti, nel suo Primato morale e civile degli Italiani, aveva definito il filosofo tropeano “il Reid d’Italia” – paragonandolo così al caposcuola scozzese critico dello scetticismo di Hume - Galluppi decise di ritirarsi dall’insegnamento universitario, ritenendosi “già vecchio”, come ebbe a confidare ad uno dei  suoi allievi migliori, Ruggero Bonghi. E’tormentato dalle malattie, prostrato anche da disgrazie familiari intersecatesi con le vicende politiche.


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