Lo sbarco dei Fratelli Bandiera in Calabria e la loro tragica morte nei pressi di Cosenza.
di Maria Lombardo
Attilio ed Emilio Bandiera, nati dal barone Francesco, alto Ufficiale della
Marina austriaca, e da Anna Marsich (Attilio a Spoleto il 24 maggio 1810, Emilio
a Venezia it 20 giugno 1819), furono avviati alla carriera militare e formati
nell'Accademia della Imperiale Regia Marina in Venezia. Vedevano nel regime
austriaco il loro nemico più grande e iniziarono a combatterlo tramite cospirazioni,
nel’41 fondarono la società segreta Esperia! Si misero in corrispondenza con il
Mazzini e credettero nel 1843, quando scoppiarono i primi moti, che il tempo
per insorgere fosse maturo; ma traditi da un certo Vespasiano Micciarelli,
infiltrato nella Esperia, furono richiamati a Venezia quali principali
cospiratori, disertarono e si rifugiarono a Corfù dove erano già numerosi i
rifugiati politici. Per intercessione delle donne di famiglia ebbero la grazia
che rifiutarono "per non tradire la patria e l'umanità” decisero invece di sbarcare in Calabria per aiutare i fratelli
liberali calabresi. Da quella regione infatti erano giunte notizie confortanti:
Cosenza, Paola, S. Giovanni in Fiore erano insorte. Ma la rivolta cosentina,
che quasi coincise con Ia loro partenza dall'isola, era come sappiamo,
purtroppo, miseramente fallita. Armati alla meno peggio partirono
da Corfù con la nave da pesca e trasporto, il San Spiridione, comandata
dal pugliese Mauro Caputi, già affiliato della Giovine Italia.Con i fratelli
Bandiera si imbarcarono altri prodi: Domenico Moro, Nicola Ricciotti, Anacarsi
Nardi, Tommaso Massoli, Giovanni Manessi, Paolo Mariani, Francesco e Giuseppe
Tesei, Carlo Usmani, Giuseppe Miller, Pietro Piazzali, Giovanni Venerucci,
Luigi Nanni, Giuseppe Pacchioni, Francesco Berti, Giacomo Rocca, Domenico
Lupatelli, Pietro Boccheciampe, Giuseppe Meluso detto anche Nivaro, che 12 anni
prima si era rifugiato nell'Isola col nome di Battistino Belcastro. E proprio
costui, poichè aveva conoscenza dei luoghi dove si sarebbe svolta l'impresa, si
offrì come guida al drappello e la proposta fu naturalmente accolta, poiché
s'ignorava tutto il passato dell'uomo. Attenzione sul Nivaro ho già scritto in
questo blog! Quegli uomini veleggiando verso il mar Ionio si sentivano comunque figli della Terra
Calabra, perché terra italiana. Era la prima volta che Italiani venivano
"per offrire aiuto e dare coraggio e sollievo, senza nulla chiedere".Al
tramonto del 16 giugno 1844, sbarcarono alla foce del Neto, a nord di Crotone,
fra Punta Alice e Capo Colonna. Una notte di cammino sul fiume Neto e giunsero
alla masseria Poerio sulla sponda destra del Neto, di proprietà di Filippo
Albani, a circa dieci chilometri da Crotone. Il drappello pur avendo avuto
notizie sconfortanti sui precedente moti falliti puntarono lo stesso su Cosenza,
tra loro però si annidava un voltagabbana Boccheciampe era letteralmente svanito nel
nulla. Soltanto dopo si capì che era ritornato sui suoi passi premuroso di
avvertire di quanto stava avvenendo le Autorità borboniche della vicina città di
Crotone. Gli altri andarono innanzi tutta la notte e all'alba sostarono in un
burroncello nei pressi di Santa Severina, ancora nel distretto di Crotone,
territorio montuoso ricco di boschi e pascoli. Sotto la guida del Meluso che
conosceva quei luoghi passo per passo, perché nativo di S. Giovanni in Fiore, i
giovani ardimentosi riuscirono ad eludere l'attacco e a ripararsi attraverso il
territorio di Cerenzia e Caccuri, in località "Vordò" di proprietà
della famiglia Lopez da S. Giovanni in Fiore. Improvvisamente furono assaliti
da un'orda furibonda di popolo urlante "Eccoli! Eccoli! Arrendetevi.Viva
il nostro Re! Viva Ferdinando , scambiando i prodi per stranieri armati.
Accerchiati, assaliti, fu inevitabile lo scontro, durante il quale rimasero
feriti alcuni, mentre Tesei e Mitler caddero.Il brigante Nivaro ormai
riconosciuto dai suoi ex paesani sfuggì alla cattura e si diede alla macchia.Dodici
furono catturati e condotti al Corpo di Guardia di S. Giovanni in Fiore, presso
il quale fu redatto un primo verbale relativo all'arresto.Lo stesso Giudice del
Circondario, avido di ricompense e riconoscimenti, volle far credere che coloro
i quali erano guidati dal brigante
Nivaro fossero suoi degni compagni "spregevoli e pericolosi", come
scrisse in data 19 giugno 1841 in un comunicato regio riportato dal De Chiara.
Le salme dei morti esposte in piazza per due giorni come monito! Solo Attilio
Bandiera fu interrogato, poi raggiunse i compagni nelle carceri centrali.II Memoriale
di Marsiglia riferisce che era permesso accostarvisi e che infinite furono le
prove di simpatia e di affetto che i prigionieri poterono ricevere dalla
popolazione cosentina.Il processo fu indubbiamente influenzato dall'autorità
politica. L'imputazione principale era di cospirazione ed attentato all'ordine
pubblico per far cambiare il Governo e far insorgere i sudditi contro
l'autorità reale. Seguivano le accuse di
sbarco furtivo commesso a mano armata nel Regno con bandiera Tricolore;
d'infrazione alle leggi sanitarie; di resistenza ed attacco alla forza pubblica
dei comuni di Belvedere Spinello e di S. Giovanni in Fiore; dio detenzione di
materiale propagandistico sovversivo.Avvocati difensori di ufficio furono nominati
Cesare Marini, Tommaso Ortale e Gaetano Bova, tre giganti del Foro cosentino.
L'incarico doveva servire come apparato scenico, mentre il verdetto era già
stato formulato dalla Giuria e prevedeva la morte dei congiurati. Il
Commissario del Re dette le sue conclusioni: tutti colpevoli di Lesa Maestà e
per tutti pena capitale. All'ultimo minuto tre ottennero la grazia, perché
l'esecuzione doveva essere limitata solo a nove degli arrestati esteri compresi
tutti i capi e coloro che avevano avuto più influenza nella rivolta.La
sentenza, emessa con un certo ritardo per dare la parvenza di ponderata
giustizia, fu data ii 24 luglio 1844 in nome di Ferdinando II ed in
cinquecentocinquanta copie nei giorni successivi, fu diffusa nel Regno ad
ammonimento degli animi indocili.All'alba del 25 luglio furono spalancati i
cancelli del carcere e comparve il triste corteo che si dispose ad uscire per
recarsi al luogo del supplizio fra due doppie file di soldati armati di
moschetto. I condannati indossavano un nero camiciotto e le teste erano coperte
con veli bruni che ricadevano sulle spalle.Il corteo usciva dall'abitato e
procedeva lentamente per la via della campagna, verso il Vallone di Rovito.
Tutti i posti brulicavano di gente alle sei del mattino, muta e oppressa da un
cupo dolore.Dopo I'esecuzione un grave silenzio scese non solo su Cosenza, ma sull'Italia. Dopo
l'unificazione d'Italia le loro salme furono traslate nei paesi d’origine. Le
salme di Attilio ed Emilio Bandiera il 16 giugno 1867 vennero portate a
Venezia, accolte dalla madre distrutta dal dolore, e tumulate nella Chiesa dei
Santi Giovanni e Paolo, tra le tombe gloriose dei Dogi.
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