Babbaluti di Seminara (RC) : le bottiglie calabresi contro il governo borbonico.


 

di Maria Lombardo 


 

Seminara, cittadina situata tra le pendici interne del monte Sant’Elia e la piana di Gioia Tauro, è uno dei più noti centri di produzione della ceramica della provincia di Reggio Calabria. Una realtà ricca di antichi saperi là dove con orgoglio, passione e amore, si tramanda una tradizione culturale in grado di unire storia, arte, simbologie e ritualità.La ceramica a Seminara ha origini antichissime, discende sicuramente dalle ceramiche della Magna Grecia.È legata  alla cultura delle maschere teatrali dell’antica Grecia con i suoi significati catartici. Sono altresì fondamentali i legami con la cultura millenaria della satira contro il potere, del mito di Prometeo e con le tradizioni religiose e mistiche legate al mondo della natura.Nella cittadina Aspromontana al tempo della redazione del Catasto Onciario, creato nel diciottesimo secolo da Re Carlo di Borbone, le botteghe di ceramica erano una delle principali attività, tanto che vi era un quartiere periferico del paese che traeva la propria denominazione dalla concentrazione delle fornaci di pignatte, che erano tutte lì per limitare i rischi d’incendi. Purtroppo col tempo queste botteghe dinuirono drasticamente! Secondo i dati comunali nella seconda metà del 1800 la produzione di ceramiche subì un’impennata, tanto che nel 1880 si contavano ben 28 fornaci, con relativi mulini azionati a mano per la macinazione degli smalti. Nel ‘900, divennero 30 tra cui, a spiccare, erano i nomi di famiglie illustri quali i Ferraro e i Condurso considerati ancora oggi figure chiave, veri e propri maestri dell’arte ceramica in Calabria. Questi manufatti, a quanto pare, riuscirono a fare breccia nel cuore di chi di arte se ne intendeva, Pablo Picasso che, incontrando Paolo Condurso a Ventimiglia, si rivolse a lui con la seguente espressione: “Calabrese hai le mani d’oro”.Intorno al 1948, per iniziativa di Vincenzo Infantino, un insegnante laureato in Pedagogia a Messina, venne fondata una cooperativa alla quale aderirono quasi tutti i ceramisti operanti nella cittadina, circa una sessantina.Alla base della lavorazione ci sono pochi e semplici strumenti in quanto, a fare la differenza, è la fantasia e la manualità degli artigiani, veri artisti in grado di creare delle autentiche opere d’arte. Oltre agli utensili d’uso quotidiano quali bicchieri, piatti, tegole etc. a spiccare erano quei capolavori intrisi di un profondo significato popolare-animistico-religioso come si evince, ad esempio, dai “babbaluti”, bottiglie di varia grandezza la cui produzione risale al periodo della dominazione Borbonica in Calabria, un’era di forte malcontento popolare che aveva portato gli artigiani a raffigurare, in maniera caricaturale, la fisionomia dei gendarmi spagnoli prima, quella del soldato borbonico poi così quella del signorotto locale o del potente di turno.Tra le varie lavorazioni, oltre ai babbaluti, famosi sono anche i “porroni a riccio” (orci abborchiati o con ornati a rilievo a forma di riccio e di carciofo), borracce a forma di pesce usate nei pellegrinaggi, le “lancelle” (anfore biansate), le “cannate” (boccali), le “vozze” (bottiglie) e i “gabbacumpari” (bevi se puoi), una brocca da vino con una serie di fori, da dove può bere soltanto chi è particolarmente abile.Le ceramiche di Seminara venivano vendute lungo le vie dei pellegrinaggi, sulla scia della devozione alla Madonna dei Poveri, che attirava a Seminara numerosi pellegrini, ma anche grazie alla mobilità dei “pignatari” che si spostavano di paese in paese calabrese per vendere.Oggi purtroppo in città ci sono meno ceramisti di un tempo, ma ancora resistono alcuni importanti laboratori.


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