Simeri Crichi (CZ), nel 1809 i briganti filo borbonici fecero strage di inermi cittadini nel centro di Crichi. Cronaca dell’eccidio del 1809


 di Maria Lombardo 


Simeri Crichi, paese del catanzarese, ha visto consumarsi una strage degli innocenti  nell’estate del 1809, la quale vide martiri innocenti fanciulli figli di legionari e guardie filo-francesi, crudelmente uccisi da briganti filo-borbonici appartenenti anche a zone locali. “I briganti della banda di Bartolo Scozzafava di Tiriolo perpetuarono a Crichi uno degli più efferati crimini contro l’umanità, uccidendo 38 fanciulli, che gettarono nelle fiamme, facendo insorgere l’intera Europa contro l’eccidio che è stato definito “Novella strage degli innocenti di Crichi”.Intanto nelle varie “cupe” continuavano a trovare rifugio le bande brigantesche, proseguendo l’indistinta protesta contro la lunga oppressione.“Briganti” li avevano definiti i Francesi del generale Championnet, a gennaio del 1799, quando avevano proclamato la Repubblica Partenopea. Ma “brigante è una parola quasi magica […] Chiamateli ribelli, se volete; ma questi ribelli non combattono il nuovo governo che per fedeltà all’antico; se fossero vittoriosi, essi vi chiamerebbero anche briganti?”, annotava Astolphe De Custine.Uomini violenti e assetati di odi e di vendette, temuti e ammirati dalla popolazione, razziatori generosi, capipopolo e strozzini, delatori e partigiani: su di loro continua a interrogarsi la moderna  storiografia.Per certo il brigantaggio non fu un semplice e virulento fenomeno di delinquenza comune, nato e alimentato dal disagio estremo delle masse contadine, dalla miseria e dalle ingiustizie, e fomentato dai circoli borbonici e dai latifondisti in funzione di freno delle idee libertarie d’Oltralpe. Spesso i capimasse  erano alla testa dell’insorgenza realista  e dei Cacciatori di Carolina, distinguendosi per l’inaudita ferocia: così Francesco Muscato “Vizzarru”, Paolo Mancuso “Parafrante”, Angelo Paonessa “Panzanera”, “Fra Diavolo”, Giovanni Barberio “Occhidipecora”, Cicco Perri, Nicola Gualtieri “Panedigrano”, Geniale Versace Genializ, Francatrippa, Arcangelo Scozzafava Galano, Giuseppe Benincasa Viceré  e il  domenicano Padre Rosa. “Terminata la guerra esterna si accese la interna, vasta quanto non mai ed orrenda. I briganti lasciati sopra terra nemica non avevano altra salute che vincere, e, per la simultanea loro entrata in tutte le province del regno, fu generale l’incendio. Quando le milizie assoldate erano state nei campi, e la civile a difesa della città, i briganti avevano dominato spietatamente nella campagna, e perciò, liberi e fortunati per due mesi, crebbero di numero e di ardire: formati in grosse bande sotto capi ferocissimi, una entrò in CRICHI, paese di Calabria, e dopo immensa rapina, fuggiti quei che per età robusta potevano dar sospetto di resistenza, vi uccisero quanti vi trovò, vecchi, infermi, fanciulli, trentotto di numero, tra i quali nove bambini di tenerissima età.”Così riportava Pietro Colletta, in “Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825”. Giuseppe Poerio, Commissario straordinario del re in Basilicata e in Calabria, così riferiva il 4 luglio 1809 da Catanzaro al Ministro dell’Interno: “I briganti della scellerata banda di Bartolo, avendo incontrato nei legionari di Crichi la più eroica resistenza, sfogarono il loro furore immolando venticinque impuberi figli di questi bravi difensori della patria. Tale orrenda tragedia mi ha richiamato per brevi momenti in questa città, onde sistemare i mezzi più vigorosi di sterminio contro i mostri che si son tinti di  un sangue sì puro e sì innocente” (Società di Storia Patria, XXX a.8, fascio 2252). Alla pagina 37 del Liber Mortuorum (1793-1822) della parrocchia di Crichi, Don Francesco Mantia annotava i nomi delle vittime locali  massacrati “a brigantibus”: Francesco De Mare (a.62) e la moglie Barbara Giglio (a.65), Francesco Sacco (a.60), Nicola Chiarella (a.24), Costantina Zinzi moglie di Bruno Talarico (a.80), Elisabet De Fazio vedova di Nicola De Placido (a.70), Lucia Cimino moglie di Sebastiano Scozzafava (a.50), Liberto Muraca marito di Teresa Talarico (a.50), Domenico Terzo di Giuseppe (a.22), Teresa Pettinato vedova di Giovanni Moraniti (a.58), Antonio Deodato vedovo di Eugenia Sacco (a.80), Vincenzo (4 anni) e Maria (2 anni) Chiarella di Domenico  e di Caterina Pettinato […]:  supradicti reddiderunt anima Deo sine sacramentis  et corpora eorum sepulta fuerunt in Ecclesia Parochiali”.Nei giorni successivi morivano altre 11 persone, confortate dal sacramento dei morti: Pasquale Mirante (22 anni) di Nicola, Rosa Cavarella (70 anni) vedova di Fortunato Durante, Domenico Zangaro (8 anni) di Vincenzo e Rosanna Terzo, Nicola Marincoli (60 anni) marito di Anna Madia, Saveria Perricelli (40 anni) moglie di Saverio Catizone (“in campanea redditit anima Deo morte subitanea”), Tommaso Giulino (40 anni) marito di Antonia Zangaro (“massacratus a brigantibus”), Elisabet (70) Talarico vedova Levato, Stefano Spanò (20 anni) di Francesco e di Saveria Perricelli, Margherita Pullano (40 anni)  pentonese, Saveria Pullano (45 anni) moglie di Nicola Sacco. Nelle stesse “Carte Poerio” (ASN) vi è la lettera con la quale il ministro della guerra rispondeva in data 5 luglio ad analogo rapporto del Commissario, confermando le notizie della strage.Nelle “Carte Carbone” (ASN. fascio 1310), allegato al decreto di Gioacchino Murat (Monteleone,10 agosto 1809) contro le “masse”, è allegato un foglio firmato dal generale Cavaignac e dall’Intendente Giuseppe de Thomasis, contenete l’elenco dei seguenti capimassa da catturare ad ogni costo:[…] Gioacchino Murat ordinava l la confisca dei beni dei briganti condannati a morte: solo in quell’anno ne venivano fucilati 310, “ a vendicare (con la rude etica del taglione) i Mani degli infelici morti di […] Pedace,[ …] di Crichi […] di Strongoli, di Reggio e le atrocità dei popoli barbari”

 


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