Il mediano del Cosenza che morì a Mathausen: l’antifascista Vittorio Staccione
di Maria Lombardo
Vittorio Staccione è stato un calciatore torinese degli anni ’20-‘30 e un
antifascista socialista di famiglia operaia. Visse quasi quattro anni a
Cosenza, dove giocò per la squadra rossoblù dal 1931 al 1934, e morì nel campo
di concentramento di Mathausen, il 16 marzo 1945, a 40 anni. A questo
personaggio dimenticato il “Museo Diffuso della Resistenza della Deportazione
della Guerra dei Diritti della Libertà” gli ha dedicato una delle nuove
quindici “pietre d’inciampo” installate a Torino; e quella per Staccione,
davanti alla sua ultima casa in via San Donato 27, è stata la cerimonia
ufficiale della giornata.Vittorio giocava nel ruolo di mediano. Era stato
scoperto a 13 anni in un campetto di periferia nel ’17 dall’ex capitano del
Torino Heinrich Bachman, ed aveva esordito nella massima divisione con la
maglia granata nel 1924, a 20 anni. Aveva già idee socialiste e qualche volta
s’era scontrato in risse con i fascisti. Ceduto in prestito alla Cremonese,
tornò a giocare per il Toro nel campionato 1925-1926; e nella successiva
stagione contribuì alla conquista del primo scudetto della squadra granata, poi
revocato a causa del caso Allemandi, il primo grande scandalo della storia del
calcio italiano. Anche il fratello Eugenio (Staccione II negli almanacchi
calcistici) giocava nel Torino, come portiere.Nel campionato 1927-1928 Vittorio
Staccione si trasferì a Firenze, dove giocò fino al 1931, collezionando 94
presenze e la prima storica promozione in serie A della squadra viola. Nel 2012
il suo nome è stato inserito nella “Hall of Fame Viola” come miglior giocatore
degli anni ’20 e ’30. A Firenze, dove era il beniamino della tifoseria,
Staccione fu colpito da un grave lutto, la morte dopo il parto della moglie
Giulia Vannetti, una ragazza di Fiesole, e della bimba che aveva dato alla
luce. Nonostante la promozione, la Fiorentina nel 1931 lo cedette al Cosenza,
presieduto dall’avvocato Tommaso Corigliano, che stava allestendo una squadra
più competitiva, con acquisti importanti. Era pur sempre per lui un
declassamento, che coincideva con una fase drammatica della sua vita, ma
Staccione riuscì a superare anche questa delusione e ad entrare nel cuore dei
tifosi rossoblù. Con la maglia dei “lupi” partecipò alla inaugurazione dello
stadio “Città di Cosenza”, che nel ‘53 sarebbe stato ribattezzato “Emilio
Morrone”, giocò i successivi tre campionati di Prima Divisione (77 presenze),
ed ebbe come allenatore anche l’ungherese Mihàly Balacics, amico e vecchio
compagno di squadra con la maglia granata. La sua carriera calcistica si
concluse nel 1935 a Torre Annunziata, dove vestì la maglia del Savoia, in Prima
Divisione, come allenatore-giocatore.Rientrato nella sua città, Staccione
lavorò come operaio alla Grandi Motori Navali FIAT e riprese il suo impegno
politico di socialista. Qualche volta fu arrestato dalla polizia. Si avvicinò
alla Resistenza e divenne uno degli organizzatori dello sciopero generale
politico e patriottico antinazista del 1° marzo 1944 a Torino, uno dei tanti
che in quel mese di marzo, nell’Alta Italia, coinvolsero circa mezzo milione di
operai e costarono la deportazione nel “campo di lavoro” di Mathausen, e relativi
sottocampi, a circa 1200 di essi, secondo le stime dello storico tedesco Lutz
Klinkhammer (L’occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Bollati Boringhieri,
Torino, 1993, pp. 212-226).Il 13 marzo fu arrestato dalle SS insieme al
fratello Francesco in quanto oppositore politico. Avrebbe potuto scappare,
perché l’arresto gli era stato preannunciato il giorno prima dalle autorità
militari tedesche, ma stranamente si presentò al carcere delle Nuove. Il 16
marzo partì dalla stazione di Porta Nuova, con il treno di deportazione numero
34, suo fratello era sul 32. Il 20 marzo l’arrivo al campo di Mauthausen, dopo
essere passato dal centro di raccolta di Bergamo, dove affluivano i deportandi
da tutto il Nord. Classificato come schutzhaftling, prigioniero politico,
matricola 59160, venne assegnato alla “scala della morte”, una cava in cui era
costretto a trasportare blocchi di granito durante un percorso costellato da
186 gradini. Erano condizioni di lavoro disumane e spesso fu picchiato e
torturato. Dopo un anno fu trasferito nel sottocampo di Gusen, distante cinque
chilometri da Mathausen. Qui subì un pestaggio da parte delle guardie; una
ferita alla gamba destra non gli venne curata o fu curata male. Il 16 marzo del
1945 morì di setticemia e cancrena. Suo fratello Francesco sarebbe morto nove
giorni dopo.Fin qui le poche notizie raccolte in rete su questo atleta e
operaio antifascista!
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