GIAN VINCENZO GRAVINA, IL FONDATORE CALABRESE DELL’ARCADIA
di Maria Lombardo
Roma, 5 ottobre 1690, dal mito della natura rigogliosa abitata da ninfe e
spiriti della regione greca della penisola del Peloponneso di nome Arcadia
nacque l’omonima accademia su impulso di 14 letterati e intellettuali, tra cui
anche il calabrese, originario di Roggiano, in provincia di Cosenza, Gian
Vincenzo Gravina. Questi natali illustri motivarono l’accostamento nella
denominazione del comune del termine Gravina; ciò avvenne nel 1964 per volere
dell’allora sindaco Federico Balsano. Il circolo letterario, ispirato anche
all’omonimo poema classico di Jacopo Sannazaro (Napoli) 1457 – 1530), nacque al
seguito di Cristina di Svezia che, dopo aver abdicato al trono, visse nello
Stato Pontificio dal 1655 fino alla morte, avvenuta nel 1689. Frequentarono
l’accademia filosofi, storici, scienziati appartenenti alla scuola galileiana
e, accanto a Giambattista Felice Zappi (Imola 1667 – Roma 1719), Paolo Rolli
(Roma 1687- Todi 1765), Pietro Metastasio, pseudonimo grecizzato di Pietro
Trapassi (Roma 1698- Vienna 1782), si distinse anche il nome di Gian Vincenzo
Gravina (Roggiano Gravina 1664 – Roma 1718).
La centralità della figura di Gian Vincenzo Gravina, che fu anche tra i
custodi che guidarono il sodalizio. è attestata dal fatto che anche per lui fu scelto,
come per altri autorevoli componenti e fondatori, un nome tra quelli di pastori
protagonisti di opere bucoliche greche e latine: il suo fu Opico Erimanteo.
Allievo del cugino Gregorio Caloprese e di Serafino Biscardi, fu autore di
“Hydra mistica, sive de corrupta morali doctrina” (L’Idra mistica, ossia
intorno alla corruzione della dottrina morale), “Opuscola”, “De ortu et
progressu iuris civilis” (Dell’origine e del progresso del diritto civile), “Originum
juris civilis libri tre” (I tre libri delle origini del diritto civile), anche
letti da Montesquieu. Tra le sue opere più celebri anche “Della ragion
poetica”, il trattato “Della tragedia“ e, scritte in soli tre mesi, le cinque
tragedie: “Palamede”, “Andromeda”, “Appio Claudio”, “Papiniano e Servio
Tullio”.
Tra i letterati calabresi legati alla storia dell’accademia Arcadia anche
Bartolomeo Nappini (Catanzaro 1637 – Roma 1717) poeta in lingua ‘fidenziana’,
ossia lingua italiana intrisa di latinismi in voga nel Cinquecento. Avvocato e
poi sacerdote e canonico dell’abbazia romana di Santa Maria in Rotonda, Nappini
fu autore dei “Sonetti pedanteschi di don Polipodio Calabro, pedagogo e
pastore” pubblicati postumi da Mastro Erenio Calepodigero, e delle “Rime
pedantesche”, raccolte da Pasquino Crupi, per Rubbettino editore nel 2005.
Pregnanti i riferimenti mitologici alla culle di ninfe e spiriti che
ispirarono anche lo stile bucolico di Virgilio e struggente e nostalgico il
richiamo di luoghi lontani in cui la natura rigogliosa fosse dono e vita per
l’umanità e l’humus culturale fertile e generoso fosse costante e fervida
ispirazione per ogni forma di arte e al di là dei confini geografici: in questa
dimensione Arcadia fu linfa per l’atmosfera fatata shakespeariana di “Sogno di
una notte di mezza estate”, per gli scenari naturali e spontanei descritti da
autori come lo spagnolo Garcilaso de la Vega e l’italiano Torquato Tasso e per
il villaggio costruito a Versailles e frequentato dalla regina Maria Antonietta.
Un incanto arrivato anche ai giorni nostri con i riferimenti ad Arcadia nella
serie di romanzi fantasy “Ulysses Moore”, scritta da Pierdomenico Baccalario.
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