IL VILLAGGIO RUPESTRE DI VERZINO
di Lombardo Maria
Sulle colline digradanti dalle pendici orientali della Sila,
verso il mar Ionio, si concentra un gruppo consistente di aggrottamenti
rupestri distribuiti in vari comuni della provincia di Cosenza e di Crotone.
Queste caratteristiche “città fatte di grotte” sono permeate da un alone di
mistero riguardante le loro origini, infatti, ancora nessuno studio approfondito
ha svelato questo enigma. Sicuramente furono trasformate, riadattate e modellate
ad usi congrui per ogni epoca in cui l’uomo le ha abitate. Varie sono le ipotesi
circa i costruttori di queste cavità. La prima ipotesi, quella più affascinante
ma la più plausibile, riguarda una civiltà preistorica che per libera scelta abitativa
adottava insediamenti ipogei in tutto il bacino del Mediterraneo. Di questa popolazione
non si sa nulla ma studi approfonditi hanno fatto emergere caratteristiche
architettoniche comuni in tutti i loro insediamenti e le analogie sono fondate
su così sottili particolari che non vi é ombra di dubbio sulla loro unica
matrice. Inoltre queste costruzioni se edificate in “periodo storico”, non
sarebbero sfuggite a Plinio, a Strabone e a Stefano Bizantino, mentre nulla permane.
Ed allora bisogna risalire ad epoche precedenti, e, per deduzione, a popoli
decisamente preistorici, anzi ad un unico popolo scavatore di grotte: questo
popolo operò e visse sia da noi che nel Nord-Africa ed in Asia Minore e soprattutto
nei paesi dell’Europa orientale. Siccome dalle caratteristiche appaiono coeve
alle grotte materane, anche quelle calabresi sono da classificare di origine
del Paleolitico Superiore con prosecuzione nel Neolitico. La seconda ipotesi
riguarda quella inerente ai monaci venuti dal Medio Oriente, dopo che l’Imperatore
bizantino Leone III l’Isaurico decise di abolire il culto delle immagini sacre
(iconoclastia). Essi scapparono dalla propria terra e si rifugiarono in queste
cavità, scavate da loro stessi, per condurre una esperienza di vita religiosa
ascetica e di preghiera: l’habitat era molto simile a quello presente nella
loro terra natia e quindi erano abituati a modellare la tipologia di roccia
trovata qua in Calabria; successivamente, iniziarono a costruire luoghi sacri e
portarono avanti le loro usanze. Nella terza ipotesi gli autori delle grotte
furono le persone appartenenti alle classi sociali più povere che non potendo
permettersi delle normali abitazioni, cercarono rifugio in queste cavità. Le
tre ipotesi possono sicuramente convivere in
quanto se le grotte fossero state scavate da una popolazione preistorica,
nulla vieta di pensare che siano state riutilizzate (più che aver scavato hanno
rimodellato le grotte esistenti) dai monaci e successivamente, quando essi le lasciarono,
occupate da persone che non potevano permettersi un’abitazione in muratura. Tra
questi agglomerati di grotte, il Villaggio Rupestre di Verzino fu ricavato lungo
i fianchi arenitici della collina “Spiruni” su cui sorge l’attuale borgo a
circa 500 m s.l. m., lungo l’itinerario della via Silara, ricordata in una
carta dell’imperatrice Costanza del 1196, un’importante arteria di penetrazione
verso la Sila che collegava la Via Popilia sul versante tirrenico alla via litoranea
ionica Traianea, la medievale Via De Apulia. La sua strutturazione urbanistica
è quella tipica dei maggiori villaggi rupestri calabresi, riconducibili
sostanzialmente a unità disposte su più livelli ricavate nella roccia
sfruttando gravine con pareti verticali ad andamento a gradoni lungo piste
parallele, con accesso sia dalla sommità dell’altura che dal fondovalle. L’insediamento
si compone di 43 grotte scavate in roccia arenaria, regolarmente censite e visitabili,
alte fino a quattro metri e larghe fino a sette metri, affiancate l’una
all’altra e disposte su quattro distinti livelli di terrazze ad andamento
spiraliforme, raccordati tra loro da sentieri e gradini tagliati nella pietra e
serviti da sistemi per la canalizzazione e la raccolta delle acque pluviali.
Una sorta di condominio ante litteram. Le unità rupestri di Verzino presentano
planimetrie differenti con articolazioni interne che vanno dal semplice vano, a
più complesse strutturazioni dove si colgono indizi di una seppur minima
gerarchizzazione sociale, infatti è presente una grande grotta, abitata forse
dal personaggio più importante della comunità, che si distingue per una ricercatezza
estetica e per una certa complessità spaziale: essa è formata da tre ambienti
comunicanti tra di loro tramite delle aperture, con tracce di sedili
risparmiati e nicchie sulle pareti con funzioni di credenze, impiegate per
deporre gli utensili di uso quotidiano e per l’appoggio di lucerne. All’interno
delle unità si notano spesso buchi di palo che dovevano reggere sistemi di
scaffalature adoperati inizialmente come giacigli e successivamente, quando le
cavità furono usate come stalle, per conservare il fieno e tutto ciò che serviva
per l’allevamento del bestiame, presente solitamente in basso, nella grotta stessa.
Una curiosità: in una delle grotte è presente un grosso masso incastonato nella roccia che ha costretto i
costruttori dell’antichità a creare due entrate ai lati di esso.
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