Emanuele Riboli aveva 17 anni, la sua giovane età non fermò la 'ndrangheta che lo rapì, lo avvelenò e gettò il suo corpo in pasto ai maiali


                                                            foto :Johannes Bückler 

di Maria Lombardo 


Siamo a Buguggiate, in provincia di Varese, qua la n’drangheta c’è da tempi non sospetti. Gli uomini d'onore, che si riempiono la bocca di parole come rispetto e valori, e allo stesso tempo considerano la vita umana meno di niente. Emanuele Riboli aveva 17 anni e frequentava un istituto serale nel capoluogo. Suo padre possedeva una piccola azienda che gli permetteva di condurre una vita abbastanza agiata, ma di certo non lussuosa. L'azienda del padre Luigi dava lavoro a qualche decina di persone, tra loro i fratelli Sergi, calabresi, i cui cugini, gli Zagari, erano a capo di una 'ndrina di San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria. Il gruppo fiuta un colpo facile: rapire Emanuele, chiedere un riscatto e fuggire. Il ragazzo verrà rapito il 14 ottobre del 1974 mentre rientrava dalla scuola serale. Il riscatto richiesto sarà un miliardo di lire. Decisamente oltre le possibilità dei Riboli. Con molta pazienza, si riesce a negoziare per 200 milioni di lire. I rapitori accettano, ma la polizia insiste per provare a catturare i malviventi. L'operazione sarà un disastro, e l'intento delle forze dell'ordine verrà scoperto. Il destino di Emanuele è segnato. Il ragazzo era già stato tenuto chiuso per due settimane in un bagagliaio, ma non sarà nulla rispetto a quanto accadrà in seguito. Il ragazzo verrà avvelenato e, in seguito alla sua morte, per far sparire le prove il suo corpo verrà dato in pasto ai maiali. Lo Stato dal canto suo mostrò un’ inettitudine rara su questo caso: ignorò segnalazioni importanti da parte di alcuni testimoni, tralasciò prove schiaccianti e fece naufragare tragicamente il tentativo di arresto dei malviventi. Per oltre 15 anni non si seppe nulla dei responsabili. Servirà il pentimento di Antonio Zagari, nel 1990, per far luce sulla vicenda. E sarà troppo tardi. Troppo tempo passato, troppe poche testimonianze. I responsabili verranno liberati. Quel giorno, il magistrato che - in mancanza di alternative - scarcera i colpevoli telefona a casa Riboli: "Oggi pomeriggio chiederò la scarcerazione per i rapitori di vostro figlio. E volevo chiedervi perdono. La giustizia italiana, che qui umilmente rappresento, deve chiedere scusa ai genitori di Emanuele Riboli". Come sempre invitiamo tutti a riflettere sul fatto che nonostante sia conclamato che la ‘ndrangheta rappresenta la maggior organizzazione criminale del paese, e tra le più importanti del mondo, lo Stato faccia bene poco per debellarla: tanto nelle politiche repressive quanto soprattutto in quelle di lotta culturale e sviluppo sano del territorio.

(fonte web)

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