Il tesoro di Sant’Eufemia, dalla Calabria al British Museum di Londra.
foto: Felicia Villella
di Maria Lombardo
Il tesoro è
costituito da gioielli di epoca magnogreca ritrovati nel 1865 in contrada Terravecchia
nella piana di Sant’Eufemia, in pratica l’area centrale tirrenica calabrese. I
monili ritrovati, così come spiega lo storico Vincenzo Villella sono “un
diadema, parti di due o tre collane, terminali di un paio di orecchini a spirale,
pezzi di alcune cinture, un anello e frammenti di altri ornamenti appartenenti
ad una o più donne ricche”. Non mancano “un numero imprecisato di monete bronzee che sarebbe
stato il corredo di una sepoltura. Tutti i pezzi sarebbero stati realizzati
dalla stessa bottega di quel maestro-artigiano che viene definito il ‘Maestro di
Sant’ Eufemia’, il quale li avrebbe realizzati tra il 330 e il 300 a. C.”. I documenti
degli esperti che hanno ritrovato i monili descrivono nel dettaglio il tesoro
composto da “quattro strisce in oro, facenti parte di una corazza, ritte a metà
e da una parte tagliate. Quattro strisce d’oro più piccole e molto più sottili.
E poi un triangolo in oro con lavori di filigrana che potrebbe essere servito o
di frontale al diadema, o di fermaglio alla cintura che sosteneva la spada. C’è
anche una catena in filigrana, di oro, con appeso un medaglione anche in oro, sul
quale si scorgono in rilievo diversi emblemi della città di Siracusa. E, ancora,
un medaglione in oro con emblemi di detta città; altri piccoli oggetti tutti in
oro; delle monete in bronzo sul diritto delle quali si vede la testa di Diana
con le frecce nella treccia dei capelli, e nel rovescio il fulmine alato con lo
scritto intorno in lettere greche ‘Agatocle Basileo’. I gioielli, tutti di
raffinata ed elegante fattura, sono l’ennesima testimonianza dell’esistenza
della città di Terina, una delle colonie più ricche e fiorenti di tutta la Magna
Grecia. Il tesoro di Sant’Eufemia viene ritrovato per caso; i reperti sono
acquistati dall’antiquario romano Vincenzo Vitaliani che nel 1896 ne vende una
parte al British Museum di Londra. I monili sono attualmente esposti tra i
reperti e i tesori della Magna Grecia. Secondo Dyfri Williams, responsabile
della sezione greco-romana del British, il tesoro di S. Eufemia è “probabilmente
il più grande e importante ritrovamento di oreficeria greca della Magna Grecia”.
François Lenormant, assiriliogo e numismatico, è fra i primi studiosi a sostenere
che nella piana lametina sia stata insediata la città di Terina, colonia della
grande e potente Crotone. Successivamente l’archeologo Paolo Orsi inizia le sue
ricerche proprio nella zona, al fine di individuare i resti dell’antica
colonia. Tuttavia, solo nel 1997 si avviano gli scavi che riportano alla luce i
resti dell’antico agglomerato urbano. Secondo le fonti storiche, la città greca
di Terina è fondata nel VI secolo a.C. dai Crotoniati. Questi, già insediati
nella zona ionica calabrese, intendono espandere il loro dominio sul Mar
Tirreno. L’obiettivo è quello di garantirsi il completo controllo dell’istmo,
ovvero dell’area centrale della regione. Terina, fra il V e il IV secolo a.C.,
come molte città greche della Calabria, cade sotto il dominio dei Siracusani.
In seguito nel III secolo a.C. è conquistata dai Bruzi. Nel 272 a.C. si concludono
le belligeranze contro Taranto e la colonia ellenica è sottomessa all’autorità
del governo di Roma. Nel 203 a.C. è distrutta da Annibale perché rifiuta di
schierarsi al fianco dei cartaginesi. Gli scavi iniziati nel 1997 ed effettuati
in località “Iardini di Renda” di Sant’Eufemia Vetere dal 1997 hanno fatto
emergere la prima area archeologica di Terina. Un insediamento urbano ben strutturato,
caratterizzato da due grandi arterie. A ridosso delle due strade i resti
dell’agglomerato urbano costruito, secondo gli storici, il IV ed il III secolo
a. C. La potenza e la ricchezza dell’insediamento magno-greco è rappresentato
dal conio raffinato delle sue monete. Terina e Skilletion avevano un ruolo strategico nel controllo della
“via dell’Istmo”, il tratto viario al centro della regione che costeggiava il
fiume Amato. Il ‘corridoio’ privilegiato per la comunicazione e i commerci che
permetteva la comunicazione tra le colonie in terra calabra e la madrepatria:
l’Ellade.
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