San Ferdinando (RC): storia di un paese nato dal duro sacrificio dei massari dei Casali di Tropea


 

di Maria Lombardo 


Come descritto in articoli precedenti nel 1818 Vito Nunziante ottiene la conferma di bonificare le terre paludose di Rosarno. Dopo che le campagne furono prosciugate e rese adatte alla coltivazione, accorsero in massa dai Casali di Tropea e dai villaggi del Monte Poro i contadini con le proprie famiglie divenendo i primi coloni di quella "Terra Promessa". Ma fu Vito che favorì l’arrivo di questi massari, che a quei tempi teneva a Tropea il quartiere generale. Quei contadini erano davvero esperti nel loro campo ed inoltre la crisi del 1815-1820 colpì la popolazione agricola di Tropea e di Capo Vaticano. Sorgono per ospitarli le “casette” in tutto 6! Il governo borbonico invece inviò i condannati al confine nelle isole l’unico mezzo da parte dello Stato Borbonico di sanare quel lembo di terra “povero e pazzo” di Calabria Ultra. Si sentiva il bisogno proprio di valorizzare e sanare le province meridionali. Ciò era il risultato di tanti secoli d'incuria da parte dei governi, a causa dei quali numerosi fiumi di montagna e torrenti erano stati abbandonati a sé stessi e, di conseguenza, avevano ridotto le campagne del Mezzogiorno d'Italia ad una palude incoltivabile. Nonostante le relazioni dell'economista Giuseppe Maria Galanti (inviato in Calabria dopo il terremoto del 1783) ed i preziosi suggerimenti di Afan De Rivera, il governo borbonico, benché avesse preso coscienza dei danni derivanti da tanta trascuratezza, pochi progetti elaborò e ben pochi ne realizzò, a causa dei moltissimi problemi tecnici emergenti e anche per gli alti costi dei lavori di drenaggio. L'11 settembre del 1818 hanno così inizio, si può dire, la storia della bonifica del Comune di Rosarno e le origini del villaggio di San Ferdinando. Fu un vero esodo! A parlarcene è Saverio Di Bella tratto da una relazione statistica delle acque fluenti compilata dal Cavalier Alessandro Pelliccia di Tropea, pubblicata nel 1836 in:  Grano, mulini e baroni nella Calabria moderna e contemporanea, Cosenza, 1979, pag.264. Il principale è da ricercarsi in una grave crisi che si verificò nel circondario di Tropea intorno agli anni 1815/20. Era avvenuto che le terre di Capo Vaticano - tanto rinomate per la loro fertilità - erano state abbandonate dalla maggior parte degli abitanti per il forte ribasso dei cereali, unico prodotto della zona, dal momento che i contadini avevano tagliati gli alberi di gelso e di ulivo perché allettati dal prezzo vantaggioso della legna per costruzione. Cosicché gli abitanti dei Casali, non potendo far fronte agli esosi tributi e ai canoni gravosi dei fitti dei terreni, furono costretti a vendere i propri animali domestici, la propria casa e quant'altro possedevano e trasferirsi <<nel sacro asilo delle casette>>. Venne per primo, nel 1823, il trentacinquenne Pasquale Barbalace da Carciadi con la moglie Antonia Punturiero e i figli  Francesco, Pietro, Carlo, Giacomo e Antonio. Lo seguiranno, poi, altri otto fratelli. Non sappiamo se costui fosse stato veramente spinto dal miraggio della fertilità dei terreni, oppure per espiare una pena, avendo commesso (si dice) un omicidio nel suo paese. Con certezza, però, sappiamo che presto si rivelò un uomo laborioso, che si distinse per il suo dinamismo nelle varie attività in favore del primo insediamento urbano, tanto da essere denominato il <<Romolo del villaggio>>. Nella nuova dimora vennero pure, nello stesso anno, Francesco Pantano e Agostino Tavella da S. Nicolò di Ricadi; l'anno successivo arrivarono le famiglie di Giuseppe Lojacono e Domenico Celi da S. Nicolò, Michele Petracca da Lampazone, Tommaso Rizzo da Spilinga. Nel 1825 vennero i massari: Bruno e Antonio Polimeni da S. Nicolò; Giuseppe, Francesco e Sergio Tripodi da Brivadi; Antonio Lojacono da Orsigliadi, Domenico Punturiero da Carciadi; Benedetto e Silvestro Celi da S. Nicolò, Falduti da Caroniti, Giacomo Taccone da Spilinga, Naso, pure, da Spilinga.Negli anni successivi arrivarono i Pulella da Ricadi, gli Zungri e i Mumoli da Lampazone, i Bagnato da Comerconi e i Rombolà da Brattirò: tutta gente che era venuta in questa nuova borgata per migliorare il suo status sociale di cui era insoddisfatta nel proprio paese d'origine. Tornando ai servi di pena approfittando di questa circostanza molti servi di pena, per non scontare le proprie colpe, o alcuni, con l'intenzione di riabilitarsi, si rifugiarono in queste terre godendo di un diritto d'asilo e così si misero a lavorare duramente reinserendosi con gli altri coloni. <<E' interessante notare - scrive Alfredo Diana - che, benchè fossero lasciati liberi e con scarsa sorveglianza, in tutto il periodo di tempo che durò questa operazione...e cioè sino al 1862, uno solo, avendo commesso un omicidio, fuggì su un peschereccio in Algeria>>.Si narra ancora che un uomo proveniente dal cosentino, di cognome Mandarino, fuggito dal suo domicilio, perchè braccato dalla polizia, per avere, con un colpo di scure, decapitato la matrigna, fosse stato trovato dal marchese Nunziante nel fondo Malapezza intento a prosciugare fossi assieme ad altri vanghieri: Il generale lo prese in consegna, gli fece assumere il cognome di <<Monteforte>> e lo lasciò libero di lavorare insieme con gli altri servi dipena. Pochi anni dopo, il Monteforte, alias Mandarino, contrasse matrimonio con una contadina di Nicotera e risiedette a San Ferdinando, dove diede inizio alla sua discendenza. Dalle scarse notizie attinte dai registri parrocchiali di quegli anni '20 e dai processi della Gran Corte Criminale abbiamo riscontrato alcuni cognomi di galeotti. Essi sono: Del Vecchio da Ioppolo, Contartese da Ricadi, Tambaro da Scafati, Vito Naccarato da Cosenza, Pantano da Brivadi, Megna da Coccorino, Russo da S. Maria Capua Vetere, Michele Baglivo da Potenza, Michele Bovolo da Torre del Greco, Pasquale Zavaglia da Polistina, Giovanni Falcone da S. Maria C. V., Porretti da Monteleone, e infine Nicola Faggiano, Bruno Ferraro, Bernardo Pignatelli, Cusano. Attenzione cari lettori questi cognomi esistono ancora oggi! I primi matrimoni che si celebrarono in San Ferdinando avvennero tra immigrati e tra persone provenienti dalla vicina Nicotera e dai Casali di Tropea. Sicuramente tali unioni si verificarono perchè fra gli stessi nuclei familiari esistevano affinità di carattere, analoghe usanze, medesimi costumi e spesso legami di parentela. Infatti dai registri parrocchiali, che iniziano dal 1828, rileviamo molti matrimoni tra Pulella e i Puntoriero, tra Pantano e i Tripodi, tra i Naso e i Polimeni, tra i Lo Jacono e i Tripodi, tra i Rombiolà e i Tavella, ed ancora tra i Barbalace e i Pantano e i Tripodi. Persone tutte provenienti dai casali di Monte Poro e di Capo Vaticano. Il primo matrimonio registrato dall'economo curato Pietro Arecchi porta la data del 23 ottobre 1828 e si riferisce all'unione di Antonio Pantano, figlio di Francesco e di Isabella Russo, con Caterina Rizzo, figlia di Tommaso e di Domenica Laria. Testimoni don Francesco Romeo e Pietro Barbalace. Il secondo matrimonio, che è celebrato il 23 ottobre 1829, avviene tra Francesco Barbalace, figlio di Pasquale (il capostipite venuto da Carciadi) e di Antonia Punturiero, con Eleonora Pantano, figlia di Antonio e di Maria Stella Contartese. Testimoni Agostino Tavella e Giuseppe Lo Jacono. Altri matrimoni avverranno negli anni successivi tra <<servi di pena>> e giovanissime ragazze (dai sedici ai 18 anni), figlie di coloni.

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