13 giugno 1799- Un calabrese di Bagnara Fabrizio Ruffo inneggia a "Sant'Antonio gluriuso" ponendo fine a Napoli all’occupazione francese.


 

di Maria Lombardo 


Si narra che ci fu lo “zampino” di Sant’Antonio da Padova se il Cardinale Ruffo, alla testa dell'Armata Cristiana e Reale della S. Fede in Nostro Signore Gesù Cristo  entra in Napoli, ponendo fine alla effimera Repubblica partenopea e all'occupazione francese del Regno di terraferma che, dal gennaio di quell'anno aveva causato, nelle varie provincie, circa 20.000 morti con episodi di inaudita e gratuita violenza, provocando l'insurrezione popolare di intere plaghe  dai "lazzari" a Napoli, ai "montanari" in tutto l'Abruzzo, ai "contadini" nella Terra di Lavoro. E’ chiaro che il porporato di Calabria usò ogni mezzo per ripristinare la triste dittatura dei Borbone, pensò anche di incamerare nel suo esercito queste fazioni citate in calce. Avrebbe scritto a metà Novecento Benedetto Croce, nella sua "Storia del Regno di Napoli": «La monarchia napoletana, senza che se lo aspettasse, senza che l'avesse messo nei suoi calcoli, vide da ogni parte levarsi difenditrici in suo favore le plebi di campagna e di città, che si gettarono nella guerra animose a combattere e morire per la religione e pel re, e furono denominate, allora per la prima volta, "bande della Santa Fede"». L'armata, in reazione alle atrocità commesse diffusamente dai francesi, non fu esente da episodi di crudeltà e di efferatezza,  in cui militavano contadini, pezzenti, borghesi, ufficiali, briganti e finanche preti, pronti ad abbandonare famiglia, lavoro, case, chiese, per difendere la monarchia e la santa fede il calabrese porporato, addolorato e fortemente indignato, dopo la sua esautorazione da parte del re a seguito dell'onorevole capitolazione concessa ai repubblicani trincerati in Castel S. Elmo cui aveva consentito di accodarsi alla guarnigione francese che aveva già abbandonato la capitale, lascerà Napoli per ritornarvi solo nel 1814 a condurre una vita di studi e di ritiro che terminerà con la morte, sopravvenuta all'età di 83 anni il 13 dicembre 1827. Il Borbone non ebbe mai gratitudine per nessuno figuriamoci per un cardinale Calabrese.

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