L’arte dei vasai a Gerocarne (VV)


 di Maria Lombardo

 

L’arte del vasaio da vita ad oggetti ma trascina con se tante e significative riflessioni. Ma passiamo alla materia, al lavoro, alla sua storia ed alle tradizioni più propriamente calabresi. Nella storia dell’uomo la lavorazione di una materia destinata a creare oggetti utili alla vita quotidiana risale alla preistoria e nel corso di decine e decine di secoli l’impegno si va, ovviamente, perfezionando sino a diventare vera e propria arte. Nell’antica Grecia, ad esempio, la ceramica fu forse la produzione artigianale più ricca e significativa, nei Musei di tutto il mondo grazie al vasellame ed ai manufatti è possibile avere informazioni sulle tecniche di lavorazione, sulla religione, sull’economia e sulla cultura della Grecia ed, ovviamente, della nostra Magna Grecia.  Ed era una ceramica suddivisa tra l’uso comune (contenitori per usi domestici o commerciali) ed il pregio che caratterizzava oggetti finemente decorati. Se quella narrata è la simbologia e la storia antica dei vasai ora passiamo, invece, a tempi più recenti e luoghi più vicini. Siamo a Gerocarne, in provincia di Vibo Valentia e qui nel 1880 l’archeologo François Lenormant segnala che “si fabbricano dei vasi usuali in maiolica, rivestiti di una patina stagnifera bianca, sulla quale si disegnano degli ornamenti a fuoco di diversi colori, rosso, turchino, verde, giallo”. Questo piccolo borgo del Vibonese – accanto a Seminara – è tra i più longevi centri di produzione ed è riuscito a mantenere, di generazione in generazione, l’arte dei vasai preservando anche le antiche fornaci a legna.Fino a qualche decennio fa i vasai erano classificati in “janchi” (bianchi) e “russi” (rossi), una distinzione generata dal differente colore assunto dopo la cottura dalle diverse argille impiegata. Peraltro la distinzione era anche un fattore costitutivo della propria arte, cambiavano le modalità e dunque le tecniche ed i segreti e questi ultimi erano tramandati nell’ambito della stessa categoria, i vasai bianchi e rossi non erano intercambiabili ed in ogni caso il risultato non era all’altezza della tradizione. La diversità riguarda anche gli oggetti oltre che la materia e le tecniche; i vasai bianchi estraevano argilla calcarea, grigiastra, duttile e setosa nei pressi di Gerocarne e producevano “cùccume, vasi da dispensa e altre stoviglie ingobbiate, invetriate e ingentilite da semplici motivi decorativi in verde ramina e giallo ferraccia”. Pignate e tegami di varie forme e misure erano invece la specialità dei vasai rossi che impiegavano argilla non calcarea, grassa, resistente al fuoco ed estratta a monte del centro abitato e poi in una cava tuttora in attività. Sotto il profilo produttivo l’avvento della modernità con i recipienti in vetro o plastica determina la sospensione delle attività dei vasai bianchi, i rossi invece resistono con una linea di “prodotti” più contenuta rispetto al passato. Dopo aver plasmato la materia al tornio si mettono gli oggetti ad essiccare all’aria per circa dieci giorni, devono togliere l’acqua incamerata e questo dipende dal clima. Poi si mettono a cuocere nel forno a 880 gradi in prima cottura e 950, per la seconda, per gli oggetti fatti con la creta scura, a temperature più alte per quelli di creta bianca. Sulle prime si passa la cristallina dall’interno fino al bordo, sulle altre lo smalto bianco con piccoli decori o schizzi di colore e poi si rimettono nel forno. Nel moderno forno, a norma, alimentato a metano e provvisto di timer, il vasellame allineato cuoce per 12 ore e dovrà raffreddare per altrettante”. Quattro le fornaci conservate nel centro storico di Gerocarne, una delle quali è ancora utilizzata. Per “cuocere” l’argilla la procedura è lunga, prima a fuoco basso per 20 ore, poi alto per almeno altre 4 ore.


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