Il pregiudizio dei Napoletani verso i Calabresi parte da lontano. Lo dimostrarono col Carnevale.



di Maria Lombardo



Con questa ricerca ho voluto appositamente dare l’ennesima lezione di storia al popolino che abita le fila del neomeridionalismo, al popolino si sa il Carnevale ed il teatro di strada piace e sicuramente questa lettura farà molto riflettere. I Calabresi sono i primi a risentire della mancanza di rispetto nelle opere d’arte scritte ed i loro "aguzzini" furono proprio i Napoletani. Nel 1600 hanno iniziato a definirli pipistrelli! Per loro  i calabresi erano melanconici creando il primo stereotipo poi comincia ad apparire dopo l’affermazione del binomio calabrese-pipistrello un Calabrese, vestito con un lungo tabarro nero, è sufficiente che apra il tabarro e lo tenga, con le braccia ben distese, aperto ai lati, e il pubblico scoppia a ridere. Il motivo appare chiaro a chi è abituato a studiare, in parte dipende dalla mancanza di rispetto ed in parte grazie alla canzone allegra e scanzonata della Villanella. Questa ottiene un grande successo in Europa e apre la lunghissima stagione della canzone napoletana che, per quattro secoli, ottiene, ciclicamente, larga eco internazionale. I nuovi ritmi allegri e gioiosi della Villanella influenzano lo sviluppo successivo della canzone meridionale, tranne che per la musica calabrese. Questa non si lascia influenzare dalla gioiosa musica napoletana e rimane tradizionalmente melanconica. Più volte in questo blog ed in altro ho spiegato come i calabresi siano sempre  poco avvezzi al progresso ed  al cambiamento.  Ma di motivi che rendono melanconici i calabresi dal ‘400 in poi posso elencarne a iosa, dopo l’invasione di Carlo VIII di Francia nel 1494, la Calabria passa in secondo piano nella strategia di difesa del Regno e questo porta a concentrare al Nord di Napoli (a Gaeta e dintorni) le risorse per la difesa. I Calabresi sentono subito che sono destinati ad essere, come già era stato con i Bizantini nell’VIII-IX secolo, abbandonati a se stessi nei confronti delle offensive turche. E così sarà. Nel momento in cui i calabresi non sono più essenziali  i santuari e le parrocchie più ricche vengono affidati a nobili napoletani. Deprime l’economia calabra anche e non solo la cacciata di ebrei e massacro dei Valdesi hanno contribuito. Nel 1792, nel Giornale di viaggio in Calabria, di Giuseppe Maria Galanti, che segnala luoghi insalubri, pieni di acque stagnanti e fetide, mentre racconta i Calabresi come melanconici, biliosi, etc. I Napoletani non vanno per il sottile con i Calabresi resi tristi dai Regnanti  e spolverano la figura dello studente calabrese un “protagonista forzato”. Lo studente di legge che non si laurea mai l’interesse è quello ci creare lo zotico, lo sciocco dello studente eterno, un calabrese tipo. La commedia  napoletana andava cercando personaggi lontani dagli usi napoletani senza centri culturali rilevanti. I nomi creati svelano ciò che pensa il napoletano del calabrese arrivando addirittura a farli bestemmiare una vis comica di una certa rozzezza che fa sbellicare dalle risate i Napoletani poveri e ricchi. È  il  napoletano che fonda lo stereotipo calabrese! Seguitemi approfondiremo in questo periodo la maschera di Don Nicola e molto ancora.


Commenti

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  2. Sono napoletano e mi appassiona questa sua nota critica verso Napoli: fa bene a rivendicare la sua calabresitudine, come Napoli rivendica la sua specificità rispetto allo Stato unitario. Suggerirei, per sfuggire agli eccessi dei localismi da cui tutti siamo affetti, di guardare al più ampio contesto dello scontro Ottomano-europeo per quanto la seconda metà del'400 e al sistema di difesa approntato dal governo spagnolo con le torri di guardia di cui la Calabria fu tra le più dotate.
    Incuriosisce la disamina su quattro secoli di villanelle, le quali videro la loro massima stagione nel 500, grazie al lavoro di Orlando di Lasso, un fiammingo prestato al Viceregno: Eh già, perché eravamo diventati già global e sul regno di Carlo V «non tramontava mai il sole», dopo ci sarà tanta musica sacra, tarantella e tanto teatro.
    Tra '500 e '600 Napoli è una città in fermento, così affollata da farne la prima cosmopoli italiana in evo moderno, dalla caduta di Roma. Sono arrivati da ogni luogo del regno persone mai viste: condividono lingue, costumi, cibo, santi e madonne.
    Condividono anche il don Nicola della tradizione del teatro di strada con la Canzone di Zèza. Ero bambino quando si rappresentava questa kermesse e mai ho percepito d. Nicola un personaggio ostico, anzi diceva di gente che viveva altrove, ma aveva pari dignità nello svolgimento dello spettacolo. Anzi stupisce che il cognome Pacchesicco non sia calabro ma spagnolo, provenendo da "paysito" contadinotto. Allora sono gli spagnoli, i napoletani o chi altri ad attestare l'idea del calabrese arretrato?
    Ricordo a me stesso che lo stesso mito di Polifemo, il ciclope abitator di spelonche, mangiatore di uomini, che non semina né coltiva grano e dunque non mangia pane, risponde a questa stessa logica: un essere che è fuori dalla civiltà. ovunque, la poca, reciproca conoscenza crea diffidenza, sospetti e caricature, come avviene al giorno d'oggi a storia e soggetti mutati.
    Mi invii le sue ricerche su don Nicola Pacchesicco, studente calabrese. di cui ho rintracciato l'originale parlata calabra in una edizione a stampa della Zèza del 1896 nella zona di Atella. E ne sono stato felice.

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