Il pane “cafone” calabrese: uno dei migliori del Mezzogiorno.
di Maria Lombardo
Pane
“cafone” ma di cafone ha veramente ben poco visto la tradizione ela fama che
precede il pane fatto in Calabria. Tante varietà pane di Cerchiara, di Cutro,
di Botricello, di Mangone, di Cuti, di Capizzaglie, pane di jermanu e di
castagni, di Sant’Antonio e di San Martino, con le olive o con la cipolla e poi
pitte, collure e cullurelle e chissà quante altre varietà ha e quanti altri
nomi porta il cibo più amato dai calabresi e da quanti hanno avuto la fortuna
di assaggiarlo: U pani 'i casa. Ho proprio elencato con soddisfazione tutti i
tipi di pane calabrese molti dei quali ho spiegato in singoli articoli proprio
su questo blog! La panificazione calabrese è un’arte che conosco bene le mie
nonne panificavano in casa fino a un ventennio fa. Carico di significati anche
antropologici e carichi di storia che spiegherò nel corso di questo pezzo.
Insomma anche in questo siamo discendenti dei Greci. Certo quando si impastava
il pane non si faceva solo “una pitta” ma si copriva almeno un mese quindi
serviva forza, coraggio per affrontare quel duro lavoro e molta fede. In
Calabria la tradizione vuole che sul pane messo a lievitare si faccia un taglio
a forma di croce, a volte si mette dentro anche un rametto di ulivo benedetto.
Mia nonna ripeteva delle frasi sotto voce che sinceramente mi incuriosivano
sembrava una buona fattucchiera, peccato non volle mai dirmi cosa dicesse fino
a ieri a sera. Si recita così: Crisci crisci pasta, cumu nostru Signuri 'ntra
la fascia. Poi copriva le “pitte” con una “schiavina” se li caricava in testa
in perfetto equilibrio meglio di una equilibrista e si recava al forno in
campagna per cuocerlo. Donne di casa che non ci sono più! Memori di quel
faticoso lavoro il pane non si butta, se cade si raccoglie da terra e si bacia,
se per sbaglio si mette sulla tavola al contrario lo si gira e lo si bacia;
durante le feste si fanno dei pani speciali in segno di devozione e si offrono
in chiesa o ad amici e parenti. Tanto era grande il rispetto per il pane
“cafone” che si usava” u lavatu” mia nonna lo teneva in frigo in una tazza
molto antica. U lavatu, la magica pasta madre usata per fare u pani i casa,
passava da donna a donna e ognuna di loro la curava per poi fare il pane per la
propria famiglia; chi aveva un forno lo dava in uso alle donne che non
l’avevano. Ricordiamo tutti quei profumi di farina e frasche bruciate ad maiora
Calabria.
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