I Salinari di Calabria duemila anni di storia di estrazione del salgemma a Lungro (CS)


di Maria Lombardo




Eureka! ….C'è sempre qualcosa da imparare dalla storia Calabrese, c'è sempre qualcosa che merita di essere tirata in ballo perché poco conosciuta. Intuisco che la mia Regione abbia avuto un passato estrattivo di salgemma, ne ho sentito parlare dagli anziani che acquistavano il sale di Calabria, ubicata nell'agreste cuore del Parco del Pollino e di cui oggi ne rimane una via del sale ancora poco nota e sicuramente da valorizzare. Siamo nella zona dell'Orsomarso una zona verdeggiante di montagna. Qui è ubicato da secoli  il bacino salifero di Lungro che dalla notte dei tempi produceva un sale di ottima fattura. Lo si raggiunge dalla piana sibarita agevolmente trovandosi tra le prime colline che costeggiano il torrente Grondo a confine tra i centri di Altomonte, Acquaformosa e poi Lungro. Il mio viaggio di conoscenza parte dalla popolazione la quale dipinge questa zona come area ricca.  Lungro appare come  linfa vitale, per intere generazioni, il motivo di sviluppo, la ragione dell'esistenza del casale Lungrum prima e di Lungro poi, è dovuto alla miniera di salgemma: sia per il lavoro che ha dato nei secoli alle migliaia di lungresi che sono scesi nelle viscere, e sia perché la presenza di salariati fissi in così grande numero, eccezionale per la zona ed i tempi, ha contribuito ad uno sviluppo anche di attività artigianali e soprattutto commerciali; i commercianti di Lungro sia a livello alimentare che diverso, sono stati i protagonisti positivi di qualsiasi andamento di mercato. Una descrizione questa che mi spinge a ricercare per capire perchè un tale colosso economico sia stato smantellato e poi chiuso. Il viaggio di conoscenza parte da una serie di autori che sul caso Lungro hanno lasciato a noi fiumi di informazioni di dati che attestavano l'ascesa crescente della miniera calabrese. La miniera Calabrese era già nota a Greci e Romani i quali avevano il bisogno di conservare i cibi. Lo si  può evincere dagli scritti di numerosi studiosi, Vincenzo Padula che alla sua Calabria ha lasciato esempi virtuosi per esempio dice:”La prima galleria è un modello di greca architettura. Si conobbe dunque sotto i greci,…(1). Ma fu Plinio il Vecchio noto naturalista che cita nella sua Naturalis Historia questi cristalli balbini, che venivano estratti da Balbia l'antica Altomonte. Attraverso le annotazioni   di questi autori intuisco che la seconda miniera più grande di Calabria riusciva a coprire il fabbisogno di Calabria e Basilicata già dal periodo medioevale.  Tuttavia con l'anno 1000 le cose iniziarono ad evolversi attraverso la creazione di cunicoli e gallerie, prerogativa dei feudatari locali che divennero proprietari del complesso, sempre il Bellavite che annota:” La salina in quel periodo apparteneva ad un unico proprietario. Pare che uno dei più potenti sarebbe stato il Conte di Bragalla (anno 1145) come si desume da quanto riferisce l’Ughelli nel tomo nono della sua Italia Sacra, parlando di una certa quantità di sale che il detto conte assegnava sulla propria salina al monastero di Acquaformosa.(3)”. Nel 1156, il conte Ogerio eresse a Lungro un monastero basiliano dedicato a "Santa Maria delle Fonti" e successivamente, con atto di donazione del 1197, agli abati diede "in perpetum" i diritti di giurisdizione civile e mista sugli abitanti del casale e quindi anche la miniera, dove poterono continuare a lavorare gli abitanti del luogo, quasi da sempre tutti dediti all’attività estrattiva. Nella seconda metà del XV secolo, si presume l’anno 1486, giunsero i profughi dall’Albania che dovettero abbandonare a seguito dell’occupazione ottomana determinatasi dopo la scomparsa dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Skanderbeg , avvenuta ad Alessio nel 1468. I nuovi arrivati ripopolarono il casale e trovarono subito lavoro in miniera. L’estrazione del sale interessò anche i Normanni. Fu Federico II a stabilirne il prezzo ed a organizzare la distribuzione e la vendita, ponendo in tal modo fine alla privatizzazione con l’espropriazione dei poderi interessati. Sullo Svevo il Bellavite cronicizza:”il più famoso di esso fu sicuramente Federico II, il quale una volta impossessatosi di essa, fissò per la prima volta un prezzo del sale e sfruttò maggiormente la miniera senza apportarvi però miglioramento alcuno” (4).  Da questa data in poi le notizie storiche si interrompono per riprendere nel 1811 il Bellavite avalla le mie tesi:”Mancano poi del tutto notizie particolari sul fatto del passaggio di proprietà delle saline dai privati al Demanio. Un primo ordinamento amministrativo l'ebbe questa salina nel 1811”. La storia però non ferma il suo corso e né si è cercato di occultare le fonti che appaiono copiose e chiare. I Napoleonici intuiscono l'importanza di questa industria e cercarono effettivamente di creare uno stabilimento all'avanguardia, sotto la loro dominazione crebbe il lavoro nuovamente il Bellavite dice:” Nel 1811 si pensò a dare alla miniera un ordinamento tecnico per migliorare lo stato deplorabile in cui era caduta per la barbarie dei tempi passati e per la nessuna regola d'arte nella sua lavorazione. Prima si costruì il fabbricato esterno, di men che modeste apparenze, e si  formò una direzione speciale composta di un direttore, un controllore, due commessi, vari pesatori, un ingegnere, ed un custode alla porta, affidandone la sorveglianza alla guardia doganale” (6).All’inaugurazione, si racconta, presenziò lo stesso Murat che, dal balcone del nuovo edificio, assistette alla celebrazione di un matrimonio (martesa) secondo la tradizione albanese, rimanendo affascinato sia dal rito bizantino sia dagli splendidi costumi delle donne. Ai fortunati sposi, come regalo, assegnò otto carlini al mese. I Napoleonidi che comunque diedero l'impulso allo sviluppo di Lungro lasciarono il posto alla nuova dinastia Napoletana, ed anche il Borbone si porta a visitare la miniera Calabrese.
Nel 1833 Ferdinando II si porta a Lungro:”…fu onorata della presenza del nostro Augusto Sovrano in occasione del suo viaggio per le Calabrie”, scrive l’inviato del periodico Poliorama pittoresco(1839/40). Il Lungro però aveva prontamente bisogno di modifiche e creazioni di nuovi cunicoli ecco che la casa Reale inviò il Genio. Ferdinando non si scoraggiò mai ad affrontare questi viaggi sulle alture calabresi per vedere i suoi Opifici. Il caso Lungro divenne prerogativa del Borbone. Furono varate leggi, inviati soldi per permettere a Lungro di produrre. Nel 1824 finalmente il Ministero delle Finanza e quello della Guerra ordinavano al Genio di spedire nella miniera un ufficiale, ed il Genio inviò l’ingegnere Galli che arrivò a Lungro nel gennaio del 1825. Il Galli in pochi mesi rilevò la pianta interna ed esterna della miniera e la livellazione della galleria e fece anche una relazione con descrizione topografica della salina. Il 5 marzo 1825 iniziarono i lavori per la costruzione degli indispensabili cunicoli. Vi era poi il grosso problema dell’assorbimento del gas acido-carbonico che davano dai lumi e la respirazione degli uomini. Fu messa in opera l’introduzione dell’aria respirabile, raccolta da un mantice a doppia cassa onde non aver interruzione nello spingerla e portarla nel fondo del pozzo da tubi conduttori. Alle sette di sera del 1827, dopo due anni, sei mesi ed otto giorni da quando erano “partiti” dall’imboccatura finalmente gli operai giunsero terminando il traforo della galleria del “sopraccielo”, erano stati scavati 81 metri di terra larghi 208 centimetri, un’opera per quel tempo maestosa, considerato che non si avevano a disposizione a Lungro aiuti di alcun genere. Una descrizione dell’interno della miniera c’è offerta dal geologo Pilla che nel 1835 si recò a Lungro durante una sua visita in Calabria, considerando quella salina, peraltro sconosciuta, per grandezza al pari delle altre più famose del globo. Il salgemma, secondo il Pilla, si presentava come un enorme ammassamento, con ampie ma disordinate gallerie disposte in quattro piani, l’ultimo dei quali lo si raggiunge scendendo ben 1200 gradini intagliati nel sale. Di sale si presentano pure le pareti e la volta. Uno scenario surreale si sarà presentato allo studioso, come ai moltissimi "turisti" che giungevano da ogni dove per visitarla. Il sale ai suoi occhi si presentava ora bianco e purissimo, ora bigio e non puro. "Messo una volta piede nel deposito salino, scriveva il Pilla, non si vedea altra cosa che sale infino al punto più basso della miniera". Tuttavia i fatti storici mi catapultano direttamente al 1862, la salina lavorava alla grande e produceva abbastanza ricchezza, la salina in questione e quella di Barletta su decisione del nuovo Stato devono passare ad un privato francese mentre la ditta Ali di Trapani sembrò solo intenzionata all'acquisto. Il progetto non viene portato a compimento perché la Camera dei Deputati non approva gli atti proposti dal Ministro. Negli anni successivi vengono realizzati diversi progetti per migliorare e la condizione di lavoro dei minatori e per l’estrazione del sale. Alcune delle opere previste in quei progetti vengono completate mentre altre interrotte. Ciò fa naturalmente salire i costi di gestione con conseguente diminuzione dei guadagni. La salina sotto lo Stato Italiano iniziò ad annaspare e brancolare nel buio. L'intenzione del governo malgrado la relazione di Bellavite era quella di chiudere la salina:”Il sale di questa miniera si consuma in Calabria ed in una piccola parte della Basilicata; da qualche anno se ne spediscono piccole quantità in Lombardia per la salagione del formaggio e del burro.” Il salgemma viene anche usato per creazioni artistiche:”..candelieri, crocette, panerini, ed altri graziosi scherzi si lavorano col salgemma di Altomonte”. Tuttavia il 7 marzo 1880 lo Stato Italiano invia un ispettore alla miniera il geologo Tamarelli loda il lavoro e la meticolosità dei Lungresi che producono un sale puro:"Termino col ricordare – scrive ancora il Tamarelli – insieme al deposito salino, la popolazione del comune di Lungro, della quale una buona parte, cioè circa 400 uomini, lavora in miniera. I più, instancabili e pazienti come formiche, salgono e scendono in doppia corrente quel migliaio e mezzo di gradini, nudi, trafelati, ansanti; e salgono portando sul dorso almeno quaranta chilogrammi di sale. Altri con grande abilità, profittando di un cotal clivaggio marcatissimo della roccia, ne sfaldano dei grossi parallelepipedi, che con grande rumore cadono sul suolo delle ampie camere di escavo, si rompono in pezzi minori e danno poi da fare alla categoria dei cernitori.  Il trasporto a spalle è più economico, e quella gente non guadagna più di una lira al giorno". Lo studioso non muove osservazioni nella sua relazione, ma termina col dire: "Al naturalista tornò assai consolante quel bel saggio del carattere calabrese, che dà il popolo di Lungro; né fu quella la sola occasione, in cui mi persuasi che nessuna popolazione meglio di quei montanari potrà dimostrare col tempo la fallacia di un proverbio, che alla bellezza della natura pone in desolante contrasto la tristizia della gente".(7) .  Passano gli anni siamo nel '52 del '900 la salina Calabrese ha gli anni ormai contati, si inizia con lo smantellamento delle reffinerie che vengono impiantate a Margherita di Savoia e sembra certo che mai questi impianti furono utilizzati. Il governo italiano la stava chiudendo perchè definita antieconomica vengono presentate dai deputati calabresi diverse interrogazioni parlamentari. Il Governo (Moro Presidente e Tremelloni Ministro delle Finanze), invece, il 25 marzo 1965 risponde alle varie istanze approvando un disegno di legge che, di fatto, scrive definitivamente la parola fine alla Salina di Lungro. Il 5 agosto 1976 i Monopoli di Stato deliberano la rinuncia alla concessione mineraria che sarà ratificata dal Ministero dell’Industria l’8 marzo 1978.  A seguito della ratifica, i fabbricati passano di proprietà del Comune ed è la fine, in tutti i sensi. Il giorno dopo il passaggio non è più riconoscibile. Infatti, priva di custode, viene letteralmente saccheggiata: tutto quello che poteva essere preso, viene preso. Sono spariti tutti quegli attrezzi di lavoro che avrebbero permesso di far conoscere alle nuove generazioni, quanta storia, quanta fatica e quanti sudori erano insiti in quegli oggetti: picconi, perforatrici, carrelli, locomotori, elmetti, ecc.


Maria Lombardo


(1)   Vincenzo Padula. Calabria prima e dopo l’unità – Bari 1977
(2)   Giovanni Bellavite. Cenni sulla miniera di salgemma di Lungro – Roma 1894
(3)   Giovanni Bellavite. Opera citata ….....pag 30-35.
(4)   Francesco Tajani . Historie Albanesi. Salerno 1866
(5)   Giovanni Sole. Breve storia della Reale Salina di Lungro - Ed. Brenner Cosenza – 1981
(6)   Bellavite ….....ivi pag 50
(7)   Ottone Foderà. Infortunio nella Miniera di Lungro – 1879

Commenti

  1. Ancora una volta il Regno Savoia colonizzatore prima e l'abbandono progressivo ma incessant dopo del profondo sud hsnno decretato la fone delle industrie calabresi..vedi pute le Ferriere di Mongiana.

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