Marco Aurelio Severino di Tarsia (CS) luminare calabrese che scoprì la peste a Napoli nel 1656.
di Maria Lombardo
Il
premier britannico, come è stato messo in risalto dagli organi di stampa, è stato
costantemente seguito, con successo, da un medico calabrese. La politica esalta
i suoi traguardi, ma non si interroga sul
perché della lontananza dalla regione di origine. Sembra che l’arroganza del
potere cancelli la memoria di chi è protagonista di questa tragedia culturale,
di chi alla meritocrazia ha preferito l’interesse personale, l’appartenenza e i
rapporti familiari. Quattrocento anni fa lo stesso destino fu di un altro
luminare della medicina: Marco Aurelio Severino di Tarsia. Emigrato a Napoli
non riuscendo a trovare spazio nella provincia cosentina, egli scoprì la peste
introdotta nel porto della città campana a inizio gennaio 1656. Le autorità
spagnole, tuttavia, per non compromettere l’economia, fecero finta di non
capire intimando il silenzio al professionista. Così, la capitale precipitò
nella disperazione diventando un tempio di morte. Solo allora, il viceré chiamò
a corte Marco Aurelio Severino domandandogli il suo parere sulle misure
sanitarie da adottare. Fu nominato presidente della commissione
di medici per accertare la natura del morbo. La commissione, dopo aver
sezionato due cadaveri, il 2 giugno 1656 concluse per la natura pestilenziale
del morbo, redigendo una relazione, in cui furono riportati anche i consigli
sanitari ritenuti più opportuni per affrontare il morbo. Anche in quella circostanza la
quarantena sembrò il rimedio opportuno, ma era troppo tardi. La città si era
trasformata in una spelonca di defunti con la gente che fuggiva nelle provincie
dove le processioni penitenziali, promosse da alcuni sacerdoti, agevolarono il
cammino dell’agente patogeno e con esso il decesso di molti. Era l’inizio di un
incubo durato due anni. Durante la peste che visse a 76 anni non si allontanò
mai da Napoli ! Molti
facoltosi medici, che furono pertanto difficile reperire, nonostante le
numerose intimazioni a non lasciare i quartieri a loro affidati in cura. Come
difficile fu la sepoltura dei numerosi cadaveri per la carenza di persone
adibite alla raccolta e al trasporto delle salme. Severino rimase al suo posto
e morì il 12 luglio 1656 di peste. Fu sepolto, date le circostanze, sine
lapide, sine titulo nella chiesa di San Biagio Maggiore, nel pieno centro storico di Napoli. Sic vivit, sic
moritur Severinus, sic moritur, qui in Literatorum Orbe perpetuo vivit.
Commenti
Posta un commento
Dimmi cosa ne pensi!