Il guardiolo l’occitano di Calabria: dialetto di Guardia Piemontese (CS).





di Maria Lombardo


Oggi siamo a Guardia Piemontese culla del guardiolo ossia antica lingua che si parla solo in questo borgo cosentino ed in Piemonte. Ovviamente è una lingua tutelata! Dalle ricerche fatte nel borgo e poi date alla stampa come "Spettro di frequenze e varianti nel linguaggio di Guardia Piemontese d'oggi: sfaldamento, contaminazione o evoluzione?" (contenuto nel volume: AA.VV., Guardia Piemontese le ragioni di una civiltà. Indagine sul mondo occitanico calabrese, Gnisci, Paola, 1999, pagg. 53-87) risulta che il dialetto è usato tra le varie generazioni. La metodologia di approccio per questa indagine sul campo è stata la somministrazione del testo di un racconto popolare, inizialmente in lingua guardiola, proposto in italiano a un numero congruo e rappresentativo di abitanti di Guardia Piemontese, con preghiera di volgerlo simultaneamente in guardiolo. Ma cos’è l’occitano? È una lingua neolatina  parlata nel sud della Francia, sui Pirenei (nella Val d'Aran, Spagna), in alcune vallate del Piemonte ed in Italia meridionale a Guardia Piemontese dove è "arrivata" in seguito a spostamenti di popolazioni provenienti dalle zone di origine (XIV secolo) determinati sia da motivi di ricerca di lavoro ma anche, in seguito, a causa di persecuzioni religiose subite in quanto di religione valdese. Al 2007 secondo il linguista Fiorenzo Toso i parlanti guardiolo a Guardia Piemontese sono 340 su 1.860 abitanti, dato che la maggior parte degli abitanti si esprime in italiano o nella variante cosentina del dialetto calabrese. Nonostante il tempo e le vicende storiche abbiano inciso notevolmente sull’occitano guardiolo, questi ancora contiene, nel suo gergo, una notevole parte di vocaboli esclusivamente occitani, accanto ai quali vi sono vocaboli calabresi (catòi per ‘magazzino’), vocaboli indeterminati o presi dalla lingua italiana (per esempio tèlevision ovvero ‘televisione’) e neologismi che non possono essere fatti risalire ad altra lingua (come embambiniel per ‘nudo’). Ma, accanto al lessico propriamente occitano o calabrese ed italiano occitanizzato, si riscontrano termini di origine spagnola (soéra per ‘canottiera’), francese (maisonar per ‘rincasare’), araba (tommino per ‘tumolo’) e greca (naca per ‘culla’). Ciò fa oggi del guardiolo un vero e proprio mix linguisitico. Seguendo un’analisi più accurata, si nota che la maggior parte del lessico rimasto pressoché intatto è proprio quello utilizzato per definire i termini inerenti la vita casalinga e quotidiana. Così ‘padre’ si dice paire, ‘madre’ maire, ‘zio’ barba, ‘cane’ vès, ‘capra’ chabra, ‘asina’ ròssa, ‘bambino’ mainà, ‘cucire’ cosser, ‘pascere’ paisser ecc...
È stata, invece, vittima di “imbastardimento linguistico” la sezione lessicale inerente i termini utilizzati per indicare lavori e professioni. Così ‘falegname’ si dice mastro d’asha, ‘pastore’ foris, ‘panettiere’ fornar, ‘pialla’ quianotz ecc... Una cosa è certa il guardiolo va parlato quiar e dus (chiaro e lento). La sequenza delle parole deve ricordare una melodia e, quando proprio non si riesce a far scorrere ordinatamente le parole, si ricorre allora a liaisons improvvisate. Tutto deve essere breve, aspro e melodico, esattamente come volevano gli antichi trovatori occitani del 1100.

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