Omicidio di Raffaele Leonetti il 1 novembre, giorno di Ognissanti, del 1848… storie di briganti calabresi


 

di Maria Lombardo 


Esattamente 172 anni fa, il 1 novembre del 1848, mercoledì, giorno di Ognissanti, i fuoriusciti di Serra e di Pedace si diedero appuntamento in Piazza intorno alle 11, davanti la chiesa di San Donato. Le bande di Nicola Rende e di Raffaele Cava erano al completo, probabilmente molti briganti che erano liberi di colpire specialmente chi aveva idee rivoluzionarie. E a Serra il ’48 fu davvero spettacolare! Alla testa delle fazioni in lotta c’erano il patriota GiovanBattista Adami e dall’altra parte il reazionario Don Bartolo D’Ambrosio. Per quei briganti era davvero giorno festa ma chi lo era di più era Raffaele Grande libero dopo un breve periodo di galera scontata per il furto dei maiali di Don Michele Leonetti e anche per il rapimento del cugino Giovanni Grande di Pedace. Sbraitava e bestemmiava contro Raffaele Leonetti che per l’ennesima volta aveva testimoniato in tribunale contro di lui. E quindi si organizzarono per impedire che scappasse. I briganti presero posizione dietro alberi di castagno o nei punti più esposti per meglio prender la mira con i fucili. Come una “moderna” caccia al cinghiale. Leonetti era in casa con la famiglia quando una voce gli intima ferma! era Raffaele Grande che sopraggiungeva assieme al Cava armati di tutto punto e coi duebotte pronti a far fuoco. Il Leonetti capisce immediatamente e inizia una precipitosa fuga verso la via San Leonardo. Raffaele Leonetti mentre corre perde una scarpa, corre lo stesso, si dirige subito verso il Convento dei cappuccini oggi convento di San Francesco di Paola. Sperando di trovare accoglienza. Raffaele Cava viene raggiunto dal Grande che si era attardato con il figlio ed entrambi gli sono quasi addosso. L’area brulica di briganti ma Leonetti riesce ad entrare nel convento e scappa in chiesa vede la statua della Madonna dell’Addolorata, patrona di Pedace, e si affida a lei, sotto il suo altare c’è un piccolo nascondiglio, prova a entrarci, sì è stretto, ma ci sta. Ha il cuore in gola, capisce di avere qualche secondo di tempo, dice una preghiera alla Madonna, poi cerca di calmarsi e dopo un po’ si rannicchia e, continuando a pregare, si nasconde in attesa che tutto finisca. I briganti però vanno verso il convento con tracotanza bussano e sparano alla porta ed arrivarono a percuotere un frate per poi dirigersi in chiesa. Erano certi che non fosse scappato dal convento le vedette dall’altra parte della montagna lo avevano visto entrare e non uscire. Violarono senza indugi la sacralità del tempio e si misero a rovistare ogni angolo, non passò molto che individuarono il nascondiglio del povero Raffaele Leonetti, gridando contenti a quelli rimasti fuori di averlo trovato. Lo presero da sotto la statua della Madonna dell’Addolorata e lo strattonarono per portarlo fuori. Inutili le sue resistenze. Uscirono, là, a pochi passi dalla porta della chiesa lo attendeva Raffaele Grande. Il povero Raffaele Leonetti si aggrappò alla canna del fucile del brigante temendo che da lì partisse il colpo mortale, tentando disperatamente di impedire il tragico epilogo. Un atteggiamento da vero giudice e boia assieme. Nessuna concorrenza col potere dello Stato. Nessuno cercò di impedire l’esecuzione e il successivo raccapriccio. Grande fa uno scatto e si libera di quella presa fa due passi indietro e spara nella schiena in direzione del cuore. La vittima colpita a morte stramazza a terra, subito dopo, come a ribadire chi fosse il capo e dispensatore di morte, interviene Nicola Rende che dà il colpo di grazia alla tempia di Raffaele Leonetti. Ma non basta, i briganti fanno a gara per chi dovesse tagliargli la testa, ma Raffaele Grande si impose e impedì. Poi coi piedi zompò due volte sulla faccia del testimone di giustizia Raffaele Leonetti.


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