Enrico d'Aragona e la Calabria




 

di Maria Lombardo 


Enrico nacque a Valencia, nel 1451 e fu un feudatario napoletano. Figlio spurio del re di Napoli Ferrante d'Aragona e di Giovanna Caracciolo, il 21 maggio 1473 ottenne dal padre il feudo di Gerace  che, dopo essersi liberata del dominio dei Caracciolo, era diventata città demaniale Enrico è noto soprattutto per le drammatiche circostanze della sua morte. Morì, infatti, il 21 novembre 1478 nel castello di Terranova da Sibari,  dove si era recato, ospite di Marino Correale di Grotteria, per riscuotere tributi per conto del re di Napoli,  dopo aver mangiato dei funghi velenosi .Assieme a lui morirono altre persone, mentre il fratello Cesare marchese di Santa Agata, che aveva anch'egli mangiato i funghi, sopravvisse. La moglie di Enrico, Polissena Ventimiglia, incinta del figlio Carlo e con gli altri quattro figli ancora bambini (Caterina, Luigi, Ippolita e Giovanna), si rivolse a San Francesco di Paola perché compisse il miracolo di salvare il marito, ma il santo le rispose che..." non possia fare alcuna cosa perché lo Signor Dio volia lo dicto Signor Don Enrico con ipso Gli succedettero nel feudo di Gerace, dapprima il figlio Luigi (1474-1519), che nel 1492 rinunciò al titolo per diventare Protonotario apostolico, e successivamente Carlo, il figlio postumo di Enrico. Luigi, divenuto cardinale, nel 1510 fece assassinare, ad Amalfi, la sorella Giovanna, il marito Antonio Beccadelli di Bologna, e i tre figlioletti; questa cupa vicenda ha ispirato fra gli altri Matteo Bandello  con la novella  Il signor Antonio Bologna sposa la duchessa di Malfi e tutti dui sono ammazzati, John Webster  con La duchessa di Amalfi e Lope de Vega  con Il maggiordomo della duchessa di Amalfi. Tra i presenti al tragico episodio della morte del Marchese vi fu Joanni Maurello il quale ricordò Enrico nell'epicedio Lamento per la morte di don Enrico d'Aragona, stampato a Cosenza nel 1478 e ritenuto il più antico componimento poetico in dialetto calabrese. Il  povero  servo, era rimasto affezionato e fedele a don Enrico  che era vicerè della Calabria, poiché  come detto, era figlio naturale del re Ferrante I d’Aragona. Giovanni Maurello perciò in ben 296 versi, in uno stile simile a quello di Dante, invitava il popolo a stare in lutto ed a piangere il nobile padrone, morto in giovane età, così come lo piangevano il di lui padre e la di lui moglie Polisena. E, a dare sfogo ad un tale compianto, né aveva tutte le ragioni; Don Enrico era, infatti, un governatore molto buono e sensibile ai bisogni del popolo basso per cui meritava di essere perennemente ricordato.

 


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