Antichi mestieri persi : u seggiaru!



di Maria Lombardo


 L'era del consumismo ha permesso di gettare nel dimenticatoio molti mestieri quello del seggiaru ossia l'aggiustasedie è uno di questi. Una figura ecclettica della quotidianità di altri tempi il quale si occupava di rivestire damigiane e contenitori per damigiane tra le sua mansioni. Vi erano casi in cui questo artigiano aveva una piccola bottega o svolgeva la sua mansione per le strade. Un angolo al fresco gli arnesi da lavoro e ottima paglia, poteva bastare solo questo. Spesso u seggiaru veniva contattato per appuntammento quando una sedia si sfondava. La massaia o chi per lei portava “l'imbasciata” sceglieva in prima persona i materiali che voleva. Con vari tipi di paglia, martello, chiodi, raspa e colla riparava ed impagliava le sedie. Il suo compito era di riparare le sedie logorate dall'uso e di cui le famiglie non potevano sbarazzarsi per i tempi difficili. Era difficile a quel tempo disfarsi degli oggetti! La materia prima che veniva impiegata era generalmente il giunco, pianta erbacea che veniva raccolta presso luoghi acquitrinosi del nostro territorio. Il giunco, prima di essere adoperato, veniva messo in acqua per qualche ora, poi si intrecciava e si iniziava la lavorazione. Tuttavia quando una giovane coppia si doveva sposare le sedie si commissionavano già dal fidanzamento e ci si recava in bottega. Allora si poteva vedere “come u mastru lavurava”!Attrezzo necessario per la lavorazione delle sedie era "u vancu", composto da un tronco di legno squadrato poggiato su quattro piedi. Con l’aiuto di questo attrezzo, della raspa e della pelle di pescecane, il seggiolaio preparava i piedi anteriori e posteriori della sedia oltre ai necessari "piruni". Terminata tale fase, l’artigiano con l’aiuto de i "virduli" praticava i fori necessari su i piedi della sedia per incastrarvi i "piruni" e costruire lo scheletro della sedia. Altri fori erano necessari per l’inserimento de "a spallera" curvata con un particolare attrezzo chiamato "cavallu". Il lavoro di segheria era a pannaggio degli uomini come si può evincere ma il lavoro di intreccio e di rifinitura spettava alle donne.Terminato lo scheletro della sedia, le donne provvedevano a rivestirne "u siattu" con un’erba palustre detta "vuda". Questa fase era detta "‘mbudatura", ovvero l’impagliatura, e poteva essere di due tipi: "simpia", che ha una forma molto più anatomica, e "‘ntrecciata". Durante tale lavorazione si praticavano dei disegni sopra il fondello, colorando la "vuda" con lo zolferino che gli conferiva un colore verde o rosso-violetto. I disegni più comuni erano a "miandula", doppia o a più giri, e disegni geometrici di vario tipo. Dopo l’impagliatura gli uomini con u "‘nchiumazzaturu" riempivano la sedia di paglia e la "allistavano" (cioè mettevano dei listelli laterali per rifinire la base della sedia). Infine, tingevano di giallo la sedia con la terra d’ocra, o semplicemente la lucidavano con alcool e gommalacca. Era questo un lavoro che veniva tramandato di padre in figlio e richiedeva molta abilità nell'eseguirlo. In genere però veniva coinvolta tutta la famiglia e le donne in primo luogo, consisteva invece nell'intreccio e nella definizione del fondo della sedia. Serviva un lavoro certosino e di precisione ed ogni artigiano aveva la sua firma il suo marchio.L'abilità dell'artigiano si manifestava nella sicurezza con cui incideva e rifiniva i singoli elementi, al fine di poterli successivamente assemblare senza alcuni intervento correttivo. Nella tessitura del fondo della sedia si manifestava invece, accanto all'abilità, il gusto delle decorazioni e delle varianti ad un modello sostanzialmente unitario. Inoltre per aggiustare vecchie sedie, ricorreva a materiali legnosi resistenti, quali rubina o simili, che, intrecciati in fasce di sostegno venivano avvolti attorno a dei bastoncelli di legno che formano lo scheletro della sedia.

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