I fichi del Crati un prodotto di nicchia calabrese.
di Maria Lombardo
"Nientemeno
più prezioso, e per la copia e per la perfezione egli è il raccolto dei fichi.
Principia egli nel mese di giugno e si allunga fino all'altro di decembre,
sempre l'une succedendo all'altre ... nere, bianche, altre brune, altre
rossaccie, tutte però così dolci, che filano dalla creduta bocca stille di
miele, e come se per filarlo non bastasse una sola apertura sul capo, sovvente
ancora si stracciano per i fianchi". (Gioacchino da Fiore). Il frutto degli
dei, questi sono i fichi carichi di Vitamine, ferro, potassio e fibre, regalate
in quantità ancora maggiori se i fichi sono secchi. Il fico Cosentino o della
Valle del Crati è considerato come il migliore nella produzione dolciaria e
non. I fichi vanno raccolti e lavorati secondo le modalità previste dal
disciplinare di produzione che ne garantisce la denominazione Dop, di origine
protetta. Come recita il disciplinare di produzione, la zona di produzione dei
Fichi di Cosenza Dop. Tali peculiarità sono state riconosciute nel 2010 con il
marchio di qualità DOP. La tipicità si riconduce alla Valle del Crati, dove un
ambiente collinare con un clima temperato ha creato le condizioni propizie per
una vegetazione ottimale. Appartengono alla Bifera Dottato, una delle 700
varietà coltivate nel mondo i quali hanno trovato in Calabria il loro habitat
naturale. Portato a noi dai Fenici i quali ricavavano dal fico secco il
sostentamento per le lunghe traversate che compivano. Il fico è stato sempre
stato un albero molto diffuso ed i suoi frutti copiosi sono stati considerati
il pane dei poveri perché, freschi o essiccati, contribuivano a sfamare la
popolazione delle zone rurali. È un albero rustico e resistente che si può
trovare ovunque in Calabria. Sono frutti dal sapore molto dolce di piccola
dimensione, con la buccia di color verde chiaro, con polpa morbida e semi
piccolissimi. Un tempo con il Dottato si produceva anche lo sciroppo di fico
calabrese. Si ottiene dalla bollitura di fichi locali molto maturi. Dopo il lavaggio,
i frutti sono messi in una pentola e coperti con acqua. Si porta a ebollizione,
lasciando evaporare una parte dell’acqua prima di togliere dal fuoco. Si pone
poi la miscela in un sacchetto di iuta con un foro alla base e quindi si
travasa in un apparecchio per la pressatura. Il liquido ottenuto viene poi
messo in un recipiente di rame e riposto sul fuoco fino a quando l’acqua in
eccesso non è evaporata.Gesti antichi oggi dimenticati che andrebbero ripescati
dal nostro bagaglio culturale. Lo sciroppo di fico si conserva bene per alcuni
anni. Questo sciroppo nasce dalla necessità di utilizzare i frutti avanzati. Si
serviva sulla neve fresca per ottenere una deliziosa granita chiamata
scirubetta nel dialetto locale. È il dolcificante ideale per i dolci locali, in
particolare per i mostaccioli e per il pane di fichi e miele. Recentemente, si
è diffusa l’abitudine di servirlo con la ricotta fresca per offrire un dolce
molto semplice; viene servito anche come accompagnamento ai formaggi. Il
commercio dei fichi viene praticato col prodotto finito essiccato, i fichi
giacciono sotto il sole estivo per essere caliati e poi passati al forno per
l'ultima asciugatura. L'essiccazione e la trasformazione dei fichi secchi è una
tradizione, tramandata al sud da padre in figlio: si sfrutta il caldo per
eliminare l'umidità all'interno del frutto e ottenere un prodotto conservabile
per il resto dell'anno. In Calabria sono numerose le lavorazioni tradizionali:
si fanno a crocetta (infilzati a formare piccole croci), steccati (infilati a
uno a uno su un bastocino), a coroncina, a treccia, a pallone (amalgamati con
miele di fico a formare un pallone avvolto successivamente nelle foglie di
fico). Ottimi anche farciti con mandorle, noci e ricoperti di cioccolato; è
adoperato, inoltre, per la produzione di gelato artigianale.
Ricordi indelebili della mia infanzia vissuta tra i fichi e gli ulivi, tra campi di grano e di pomodori. Seguivo incantato mio nonno nel duro lavoro dei campi, non c'erano mezzi meccanici allora, e del resto sarebbe stato impossibile il loro utilizzo in quei campi in declivio. Poi si decise di costruire il ponte sul Busento (noto come il ponte di Mancini) e le mie radici vennero strappate, e il mio amore per Cosenza non fu più lo stesso.
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