UNA CHIESETTA RUPESTRE E L’EREMITA DELLA “SANTA RUGA” O RUBRA GIOIELLO DEL VIBONESE.



DI MARIA LOMBARDO


“Nella costruzione della storia esistono tali verità costanti che, se sollecitate forti emergeranno per dannare la balbuzie incauta del bestiario umano”
Utilizzo le parole dell’archeologo Nicoterese Achille Solano, che avendomi incontrata di persona mi fa avere un suo scritto apparso su “ La Stadia”, nel quale leggo il lavoro archeologico del medesimo professore al fine di ricostruire la storia della chiesetta bizantina, da lui, stesso rinvenuta ed a pag 31 del medesimo libretto,  annota:”non me ne voglia nessuno se dal mio punto di vista, la sede delle memorie di Leone Luca da Corleone deve essere cercata a Santa Ruba, in territorio di San Gregorio D’ Ippona, piccola e graziosa cittadina, fiera e tenace custode di valori ancestrali della gente di Calabria”.
Sul toponimo di “ Santa Ruga” esiste una testimonianza depositata nelle memorie italogreche e vuol dire Ruga ossia strada in dialetto calabrese. Ed è proprio in queste zone che viene portata alla luce un gioiello Bizantino di inestimabile valore, poco conosciuto  ai cultori o ai viaggiatori di Calabria. Le innumerevoli difficoltà trovate per reperire materiale storico, in quanto nessun monastero greco è supportato da fonte storica attendibile, nell’area di Valentia, occupata già da nuclei di agricoltori e artigiani.
Tuttavia risulta in merito di importanza quanto dice la Iannelli nel testo Dalla Preistoria all’età romana ,in Vibo Valentia ci dice :”Secondo, la documentazione archeologica disponibile, dal VI all’XI secolo si registra un lungo vuoto storico,(…) silenzio dei luoghi “.Nello specifico, in località Santa Ruba, viene suggerita la presenza di una grotta per cui fu d’obbligo verificare l’esattezza delle informazioni, proprio dalla voce del parroco della zona, che si accorse della presenza anche di una sepoltura, ubicata in una depressione naturale della medesima grotta, a tal punto che, scavando arbitrariamente ed in maniera del tutto sconfusionata sconvolgevano l’antico gioiello.
Contemporaneamente però annota ancora il Solano a pag 22:”nella spicconatura degli intonaci, viene distrutto un affresco di un arcosolio(…), come spesso accade, i rinvenimenti erano taciuti per la sconsiderata paura di un fermo lavori”. Elemento significativo che appare con chiarezza è la disposizione della crypta funeraria che tende l’idea ad una sepoltura non comune effettivamente conteneva dei resti di un eremita. La chiesa crypta, dimostra significativi elementi storici, tra i quali spiccano alcune manifestazioni barocche impiantate probabilmente in età medioevale.
Il luogo di culto ( la chiesa) è collocabile agli inizi del X secolo, quello infatti rimasto in piedi aggiunge ancora Solano sono poche cose poiché la zona è soggetta a rischi sismici :”(…) generato da una attività sismica molto accentuata e con scuotibilità pari al X all’XI grado”. Le dimensioni della chiesetta sono di 26 metri, e riconoscibile in Calabria a San Pietro di Frascineto, Cattolica di Stilo, e agli Ottimati di Reggio Calabria. Nulla, infatti vieta credere che sia stata costruita in base a tali norme, veicolati dall’oriente bizantino.
Il nucleo più antico è collocabile nell’abside, tipico degli ambienti bizantini, ed in oltre un cilindro campanario di inestimabile valore, interviene in merito ancora il Solano :”nelle impostazioni absidali progettate in Calabria questo modello architettonico è di singolare unicità”.Sebbene sono poche le notizie storiche da utilizzare, le uniche attendibili risultano essere quelle del Solano torniamo alla configurazione della Cathedra, ancora nell’abside vengono rilevate ben tre nicchie servite per poggiarvi lampade e taluni oggetti di culto.
La chiesetta era in origine estremamente povera, composta di una sola cappella monastica, dedicata alla Madonna della Sotèrias (Salvezza) e non si può escludere che fu alle dipendenze del Monastero di Santa Maria della Vena. Dopo l’ XI secolo la chiesetta, cadde in disgrazia per circa cinque secoli, annotano ancora le menti più autorevoli: “declino ed oblio favoriti, se non imposti da un’ abbazia benedettina nella zona” tale descrizione è presente sia in Fiore che in Taccone Gallucci. Tuttavia viene riscoperta solo nel 1610 quando veniva impiantato un Oratorio annota il Solano archeologo di chiara fama a pag 25 della Stadia:” senza alcuna presunzione, può essere considerato uno dei più antichi d’Europa”.
L’Oratorio stesso venne più volte rimaneggiato con l’ubicazione di alcune celle di “padri agostiniani”. A tal proposito possiamo citare le parole di Ruggeri  come nota storica nel suo testo l’Architettura religiosa nell’Impero bizantino a pag 21 -22:” (…) la chiesa della Madonna della Sanità che notoriamente si chiamava Santa Ruba è stata fabbricata dalle  limosine di persone pie. (….) nella detta chiesa vi stette per molti anni un padre sacerdote agostiniano di  Sicilia con un compagno “. Tuttavia è assolutamente importante chiarire che la chiesetta sorse in una grotta di natura carsica, in due piani, si accedeva al primo piano per una scala intagliata nel banco calcareo.
Sebbene la vita della chiesa era legata alla vita di ogni giorno, sempre nel pietra calcarea venne rinvenuta una fovea (conservavano granaglie) ed alcuni gradoni che venivano utilizzati per l’essiccamento di frutta, elemento importante nella dieta invernale di Calabria e Sicilia, in costumanza ancora oggi. La pianta semicircolare della Chiesa, porta il pensiero a chiarificare che sia stato non solo luogo di culto ma anche di residenza dove un monaco ci aveva soggiornato elevando la sua anima nell’ascesi e nella preghiera fino a raggiungere i vertici della santità.
Come chiarito in calce la scoperta della chiesetta rupestre, racchiudeva un tesoro di inestimabile valore una tomba che al rinvenimento, appariva barbaramente violata e distrutta. Sulla scoperta della tomba interviene ancora il Solano in quanto è proprio a lui che si devono i lavori di rinvenimento, non ha dato alla luce nessun elemento che  permettesse di dare ipotesi di datazione, lo stesso Solano ancora nella Stadia cita a pag 27:” Senza dubbio, le spoglie dell’inumato ignoto sono quelle di un personaggio ritenuto eccellente in seno alla comunità monastica (…) , indicazioni maggiori sarebbero potute venire dall’affresco :purtroppo è andato distrutto seppellendo, per sempre, l’identità di un santo”.
Tuttavia annotano le fonti storiche più in voga come Agostino R. e Corrado M. noti studiosi che negli atti di un convegno tenutosi a Melicuccà affrontano il problema di un’area cimiteriale nel monastero di S. Elia lo Speleota :”Una tipologia funeraria, parallelizzabile, si riscontra a Melicuccà in provincia di Reggio Calabria, nell’area cimiteriale di S. Elia “.
L’eremita dalla Santa Ruga risulta essere di sesso maschile, di statura superiore alla media, deceduto in età senile secondo l’esame paleopatologico eseguito sui pochi resti, ora conservati nella parrocchia di San Gregorio D’ Ippona. Dal medesimo esame si denota grave stress fisico a carico degli arti inferiori, il quadro dentario mostra una forte usura. Digiuni prolungati sono di rigoroso costume nelle vite dei santi eremiti.
Un monaco che visse in severa austerità che venne sepolto qui cita il Solano per ultimo come:” desertum solitudinis (…) forzatamente calata nell’oblio dopo che il territorio cadde (…)in mano ostili della S.S Trinità di  Mileto” interviene in merito anche Albanese nella sua opera San Leoluca Protettore di Vibo Valentia cronicizza sulla questione:” sede di potere politico-religioso postquam graecorum tyrannica cessavit invasio”.
Si giunge così a conclusione che l’eremita della Santa Ruga potrebbe essere il patrono della città di Vibo Leone Luca da Corleone che trascorse la sua esistenza nella preghiera e lontano dal monastero di appartenenza . Del resto, l’uomo aveva vissuto la sua cristomimesi acquistando la qualità di “uomo di Dio” , categoria nella quale si riconosce il potere dei miracoli ed il ruolo di Santo.

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