Antichi mestieri persi: U stagnaru



di Maria Lombardo
Vi era un tempo dove in ogni famiglia calabrese che si rispetti esisteva una figura in qualsiasi mestiere che veniva chiamato mastru, tra tanti c’erano: u ‘mbrellaru cu scarpuru cu conzava i brocchi ed infine esisteva u stagnaru! Mia nonna Maria cresciuta sotto l’ala protettiva della mia bisnonna a Zè Pruvidenzaera abituata a far aggiustare tutto specie se l’oggetto logorato apparteneva al suo prezioso corredo. Fatto a mano e con sudore diceva lei! Le pentole e le quartare poi dovevano durare una vita e quindi faceva chiamare u mastru stagnaru, il quale se il problema era lieve andava a domicilio altrimenti l’oggetto si portava o bassu. A Nicotera i Bassi erano piccole bottegucce strette senza confort giusto con lo stretto indispensabile per espletare onestamente il lavoro commissionato. Come detto in calce u stagnaru aveva si la sua piccola bottega ma ciclicamente si spostava in quei luoghi dove questa figura professionale mancava ed espletava per strada il suo lavoro. Sapeva rimettere a nuovo tutto le quartare le padelle venivano isolate dal fondo di rame, il tutto con abile maestria secolare. Bastava una fucina e con un bastoncino di stagno riparava i tesori delle massaie. U stagninu era una sorta di saldatore in poche parole capace di riparare anche più volte gli attrezzi da cucina. E’ chiaro che gli utensili utilizzati quotidianamente si deteriorassero era quello il tempo dei secchi di ferro tanto per capirci oggi soppiantati dalla plastica. Pezzi davvero malconci ricordo mia nonna che non voleva proprio disfarsi della caldaia di rame del suo corredo, bucata annerita ed ammaccata soleva dirci<< la farò aggiustare du mastru!>> Quella quartara tornava in casa come nuova e se proprio il mastro non poteva far niente riciclava il prodotto facendo caffettiere ed imbuti. Rivivere solo per iscritto l’operato di questi artigiani mi ha spinto a intervistare chi visse nel periodo in cui tutto si aggiustava e non si buttava. Mio padre ebbe a raccontarmi che a Nicotera questa era una figura importante e ve ne erano parecchi. Un piccolo fornello, incudini, martelli e un tavolo sgangherato creavano la piccola officina dello stagninu, che poi esponeva le sue merci su delle tavole di legno, sotto gli occhi delle massaie che periodicamente si rivolgevano a lui per acquistare menze, recipienti adibiti alla raccolta dell’acqua dalle fontane, brocche, teglie e tegami di ogni dimensione. Oggetti belli e duraturi di alto valore artigianale!

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