Folklore culinario per il giorno dei morti, Nicotera e Calabria
Crediti foto: www.lospicchiodaglio.it
di Maria Lombardo
Oggi 2 novembre è il giorno in cui a casa mia si pranza coi ceci e si conclude con delle buone caldarroste fumanti. E’ una tradizione molto antica questa, quella in cui il giorno di commemorazione dei defunti coincida con la simbologia di carità fraterna. Una tradizione che era mia nonna a praticare, e di cui mio padre oggi è sostenitore. La mia famiglia di umile origini è sempre stata credente nel sostenere che i poveri sono loro a portare nutrimento e messaggi ai defunti, perché considerati immuni dal contagio della morte. Beata ingenuità! Sempre in Calabria, la notte della vigilia del 2 Novembre, è usanza accendere un lumino o una candela, da tenere sul davanzale della finestra, in modo da indicare ai defunti la strada del ritorno. La mattina bisogna alzarsi presto, perché si dice che i morti devono andare a riposare, perciò bisogna liberare il letto. Questa tradizione che sto per raccontarvi non è praticata solo a Nicotera ma in forme diverse tutta la Calabria ad oggi la pratica. Le famiglie di Cosenza mandano ai loro morti il cibo preferito attraverso i disperati. Lo preparano al mattino presto per offrirlo al primo povero che passa davanti alla loro casa. Questi lo consegnerà al defunto che, nel frattempo, si è messo in cammino per raggiungerlo. Ad Umbriatico, in provincia di Catanzaro, per la commemorazione dei defunti si preparano per i poveri speciali focacce di pane lievitato e cotto al forno, le “pitte collure”, mentre a Paola, il due novembre, si distribuiscono ai poveri fichi secchi. Gli stessi nutriranno anche i morti, usciti dal cimitero nel giorno della loro celebrazione per cibarsene. Non c’è tradizione che tenga se questo legume non viene cotto nei particolari tegami “i pignati ” che a Nicotera si acquistano alla fiera del Rosario. Ecco mio padre stamane ha tirato fuori quel tegame, preparato gli odori ed acceso il fuoco per adagiare con calma il contenuto per il pranzo. Chiedo spiegazioni da buona storica e da studiosa di antropologia perché pasta e ciciri e non altro? Si dice che durante il giorno si devono mangiare i ceci per portare fertilità alle terre di Calabria. Tuttavia questa è solo la tradizione che con l’avvento del progresso, in molte città queste tradizioni sono quasi scomparse. Ma nei piccoli paesi, soprattutto nel meridione, sono ancora vive. Ed è proprio per renderle vive che mio padre cucina per i suoi fratelli ed i vicini questa delizia pensando di far piacere al ricordo dei nostri cari defunti. La mia curiosità però non è appagata la bontà da pasta e ciciri ha un perché! Ed ecco che la soluzione si fa viva queste usanze sono l’impronta delle pratiche rituali delle antiche religioni, sopravvissute sotto forma di superstizione e adattate alla religione cristiana. La tradizione risale all’antica Grecia, quando grandi pentole di ceci venivano offerte a Dioniso. In generale, tutti i legumi, e i semi in genere, come i chicchi di grano, le noci, i canditi, sono legati al culto dei morti, poiché venivano offerti alle divinità come simbolo di rinascita. La Pasta del Purgatorio, pasta e ceci appunto, viene distribuita a tutto il rione e alle famiglie meno abbienti in suffragio per le anime del Purgatorio. Il detto calabrese dice: “ppè l’animi di morti o ppè l’animi du prigatoru”. Questa usanza si è conservata anche quando viene sfornato il pane in famiglia, qualche pitta viene donata a coloro che per primi si trovano a passare, in suffragio ai morti.
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