VINCENZO FONDACARO L’EMIGRATO DUOSICILIANO DI BAGNARA (RC) CHE ATTRAVERSÒ L’ATLANTICO SUL "LEONE DI CAPRERA"



DI MARIA LOMBARDO


(1844 – 1893)
“…Se vi recate in Calabria, a Bagnara, non domandate chi era quel Vincenzo Fondacaro a cui, sul corso, in una piazzetta appartata con aiuole e alberi ben pettinati, è intestata la stele di marmo nero che, simile a prua di antica nave, si alza dallo scafo di una stretta e bassa vasca rettangolare e reca in alto, col suo nome, una data: 1881 e il motto latino: Audere semper. Vi sentireste rispondere era un «matto»!…” Così scriveva nella seconda metà del Novecento lo scrittore Romarin, nell’introduzione al suo libro “L’Allegro Capitano Vincenzo Fondacaro”.
 In un opuscoletto senza data, firmato dal colonnello A. Iraca, per molti anni presidente della Pro Loco di Bagnara; ho trovato alcune interessanti notizie che ci parlano dell’impresa del Fondacaro. Per capire bene come effettivamente andarono le cose bisogna fare una piccola descrizione degli avvenimenti storici dell’epoca, che furono il preludio a quanto poi il capitano Vincenzo Fondacaro riusci a realizzare.
Nel luglio del 1866 l’ammiraglio Carlo Pellion, conte di Persano incaricato d’attaccare con la sua flotta gli austriaci nell’isolotto di Lissa, davanti alla costa dalmata, fu clamorosamente sconfitto nonostante la superiorità numerica e la potenza delle nuovissime navi di ferro italiane, contro le navi di legno del nemico. Il senato riunitosi in alta corte di giustizia lo processò, degradandolo.
Vincenzo Fondacaro, emigrato da alcuni anni in Inghilterra dove era imbarcato sui mercantili britannici, il 24 maggio del 1876 diventa capitano di lungo corso della marina mercantile britannica. La marina italiana dopo il brutto colpo subito a Lissa, era scarsamente considerata in campo internazionale. Per il Fondacaro che viveva all’estero e che di professione faceva il capitano di una nave, questa ferita sembrava non rimarginarsi mai. Deciso a riconquistare il prestigio perso dalla marina italiana, Fondacaro decise di dimostrare al mondo intero ed all’Inghilterra in particolare che i marinai italiani erano in grado d’affrontare le insidie più pericolose, e d’avventurarsi in imprese memorabili.
 Il capitano Vincenzo Fondacaro ed altri due italiani, Orlando Grassoni di Ancona, e Pietro Zoccoli di Camerota (SA), salparono il 21 marzo del 1880 alle ore 9 da Montevideo con un guscio di noce battezzato “Il leone di Caprera”. Raggiunsero Buenos Aires dove avrebbero trovato i fondi per attraversare l’oceano Atlantico. Dopo una serie d’ostacoli e contrarietà, ritornarono a Montevideo dove trovarono un finanziatore che mise a loro disposizione  quanto era necessario per l’impresa. Domenica19 settembre del 1880, il Leone di Caprera, 9 m per 2,30 m, per 1,60 m, con una stazza massima di 3tonnellate e mezzo, partì da Montevideo sotto lo sguardo di migliaia di persone che affollavano i moli del porto. Dopo un viaggio pieno d’emozioni e di peripezie, il guscio di noce giunse a Malaga in Spagna dove una gran folla lo attendeva all’entrata del porto.
Il 10 febbraio 1881 i tre giunsero a Castello di Farro dove il Leone di Caprera, avendo esaurito le risorse, fu portato a terra. Il 26 maggio la barca è issata a bordo del vascello inglese “Quinto” che il 10 giugno sbarca a Livorno.
 Vincenzo Fondacaro, rientrato a Bagnara fu accolto trionfalmente da migliaia di persone.                                                                                                                        Non pago del successo ottenuto, il capitano Fondacaro progettò la traversata da Buenos Aires a Chicago. Partì proprio da Buenos Aires dove aveva dovuto ingoiare amarezze in occasione della prima impresa, forse per restituire il veleno a quanti l’avevano vilipeso. Prese ancora il mare il 30 maggio del 1893 con un nuovo battello chiamato Cesare Cantù da lui stesso ideato e progettato, assieme a tre nuovi compagni di viaggio, tutti bagnaroti, Vincenzo Galasso, Vincenzo Carrisi, Vincenzo Sciplini. Arrivarono a Chicago dove furono accolti in trionfo. Ripartirono dal porto lacustre di Chicago, per affrontare il viaggio di ritorno, ma nulla più si seppe dei quattro bagnaroti che vennero ingoiati dalle onde dell’oceano.
 Allora s’affermò che alcuni loro antagonisti, invidiosi del loro successo e per non pagare una forte scommessa sulla riuscita dell’impresa, avrebbero fatto affondare il battello in pieno oceano.                                                     A Vincenzo Fondacaro, che nacque a Bagnara il 3 marzo del 1844 in una casa del vecchio rione Calcoli in mezzo ai grandi giardini coltivati a frutta ed attraversati dallo Sfalassà, la cittadina ha dedicato un monumento a forma di stele posta in piazza Marconi e realizzata dallo scultore Carmelo Barbaro.
 Ma chi era veramente Vincenzo Fondacaro?
Brevemente ripercorro i punti salienti della sua vita. Nato a Bagnara Calabra il 3 marzo del 1844. Pur essendo di umile origine realizzò il suo sogno di navigatore, imbarcandosi sulla nave mercantile inglese. Per 15 anni il praticantato lo porta da costa a costa ottenendo il 24 maggio del 1876, grazie alla flotta inglese, il patentino di Capitano di Lungo Corso della Marina Mercantile Britannica.
Per innalzare il nome della marineria italiana, intaccata nell’onore dopo la sconfitta di Lissa, decise di intraprendere un’impresa eroica: attraversare l’Atlantico da Montevideo a Las Palmas, su un’imbarcazione da lui costruita di appena nove metri. In omaggio ai successi di Garibaldi, chiamò il “burchiello” Leone di Caprera.
A tale impresa presero parte due marinai italiani: Orlando Grassoni di Ancona e Pietro Troccoli di Marina di Camerata (Salerno). Dopo anni di idee e progetti, con l’aiuto del governo argentino, arma una seconda imbarcazione cui darà, in omaggio al suo carissimo amico, il nome di “Cesare Cantù”.
Tale imbarcazione fu messa in mare nel marzo del 1893 e trasportata a Buenos Aires. Con tre nuovi compagni d’avventura, valenti marinai di Bagnara, Vincenzo Sciplini, Pasquale Carrisi e Vincenzo Galasso, prese il largo per Chicago il 30 maggio del 1893.
La stampa italiana esaltò tale impresa, sprigionando parole d’ammirazione per il Fondacaro. Il “bagnaroto”, non veniva più considerato un pazzo capriccioso che per desiderio di grandezza sfidava la sorte, ma un uomo che per coraggio vinse l’Atlantico e i limiti personali. Riferendosi al Fondacaro, il “Corriere della Sera” usava queste parole: “Le imprese condite di audacia e bizzarria continuano a far camminare il mondo e a far progredire l’uomo”.
Nell’ottobre del 1893, una forte tempesta nell’Oceano poneva tragicamente fine alla mitica impresa del capitano Fondacaro e dei suoi compagni d’avventura.
Le gesta decantate dalla stampa nazionale ed internazionale di questo personaggio sembrano dimenticate visto lo stato pietoso in cui si trova l’opera marmorea a lui dedicata.
Il passare del tempo e l’incuria umana hanno deturpato alquanto l’intera opera. La stele è imbrattata da diverse scritte, per non parlare dei manifesti che sia enti pubblici che privati affiggono ogni giorno per pubblicizzare i propri interessi scambiando la stele per una bacheca di annunci.
La vasca, un tempo colma di acqua limpida e zampillante, è stata ora trasformata in una sorta di aiuola con vasi epiante che sconvolgono l’idea originaria dell’opera. Inoltre il marmo ha perso gran parte della sua lucentezza e alcune parti presentano evidenti crepe che compromettono l’integrità del monumento. Il tutto nel silenzio assenso delle autorità e di molte associazioni culturali.
L’associazione Turistica Pro Loco e i volontari del Servizio Civile Nazionale più volte si sono fatti portavoce di questa denuncia invitando gli enti preposti a provvedere al restauro del monumento e al coinvolgimento dell’opinione pubblica alla salvaguardia di questa e di tutte le altre bellezze artistiche della nostra città. Un appello rimasto inascoltato visto che anche il Comune affigge i propri comunicati sulla stele.
Non ci sono parole… Tuttavia  nel 1962 il cavaliere Marcello Iannì, ufficiale di marina, pubblicò una descrizione critica dell’impresa di Vincenzo Fondacaro, attingendo dal racconto che il navigatore stesso aveva minuziosamente fatto durante tutta la navigazione.
Il Iannì visita a una piccola baleniera, le  fattezze della barca, concepita in modo avveniristico per l’epoca, ancora vivo il profumo dei suoi legni esotici, incredibili le misure (lunghezza 9,5 metri, larghezza 2,30 metri, puntale 110 centimetri circa, altezza di costruzione a prua 160 centimetri circa) e di assoluta, degnissima nota le motivazioni che condussero Vincenzo Fondacaro (Bagnara Calabra), Orlando Grassoni (Ancona) e Pietro Troccoli (Camerota) a condurre l’entusiasmante impresa.
Il comandante Fondacaro ben le descrive nel suo diario di bordo scritto in lingua inglese durante i tre mesi di navigazione e dato alle stampe nel 1881 ‘per i Tipi di Alessandro Lombardi’: la traversata del Leone di Caprera avrebbe celebrato l’orgoglio e le capacità dei marinai italiani messe in dubbio dai membri delle Marine internazionali dopo la sconfitta della flotta italiana nella Battaglia di Lissa (1866) contro l’Impero Austro-Ungarico.
In segno di affetto e di amore per la Patria, i tre marinai avrebbero portato un album con le firme degli italiani emigrati in Sud America a Giuseppe Garibaldi. Il suo ricordo, infatti, era ancora vivo presso la colonia italiana in Uruguay, paese nel quale il generale visse e combatté nel 1842. Ma l’impresa aveva, secondo Fondacaro, anche uno scopo scientifico: dimostrare l’efficacia dell’olio per calmare il mare in burrasca.
Ecco spiegato il perché dei cento litri di olio a bordo, per placare le violente onde oceaniche in caso di emergenza. I tre marinai partirono il 3 ottobre 1880 risoluti e pronti a tutto, lasciando a terra le difficoltà incontrate nel concepimento dell’impresa e le onte subite da tutti coloro, connazionali e non, che non credevano in questo progetto.
Queste le parole del Iannì per capire la situazione:”ERA L’ESTATE del 1999 e mi trovavo a passare sulla rotta tra la Sicilia e l’Argentario con il mio 8m SI ‘Aria’ fresco di restauro. Avevo da poco fondato «Arie» l’associazione con la quale mi sono attivata, negli anni, per la salvaguardia della marineria storica nazionale.
Mi raggiunse un’inaspettata telefonata: la voce di un assessore del comune di Camerota mi invitava a fermarmi nel Cilento per far visita a una piccola baleniera che aveva condotto una grande impresa.
Capii solo dopo molto tempo che quella telefonata non era casuale, ma frutto di un destino segnato a cui aveva contribuito anche Vincenzo Fondacaro, il comandante della spedizione del Leone di Caprera, morto in mare in una successiva traversata (1893). Ricoverata presso la grotta di Lentiscelle a Marina di Camerota, il Leone di Caprera, classe 1880, era custodita da Orlandino Troccoli.
AFFASCINANTI erano le fattezze della barca, concepita in modo avveniristico per l’epoca, ancora vivo il profumo dei suoi legni esotici, incredibili le misure (lunghezza 9,5 metri, larghezza 2,30 metri, puntale 110 centimetri circa, altezza di costruzione a prua 160 centimetri circa) e di assoluta, degnissima nota le motivazioni che condussero Vincenzo Fondacaro (Bagnara Calabra), Orlando Grassoni (Ancona) e Pietro Troccoli (Camerota) a condurre l’entusiasmante impresa.
Il comandante Fondacaro ben le descrive nel suo diario di bordo scritto in lingua inglese durante i tre mesi di navigazione e dato alle stampe nel 1881 ‘per i Tipi di Alessandro Lombardi’: la traversata del Leone di Caprera avrebbe celebrato l’orgoglio e le capacità dei marinai italiani messe in dubbio dai membri delle Marine internazionali dopo la sconfitta della flotta italiana nella Battaglia di Lissa (1866) contro l’Impero Austro-Ungarico.
In segno di affetto e di amore per la Patria, i tre marinai avrebbero portato un album con le firme degli italiani emigrati in Sud America a Giuseppe Garibaldi. Il suo ricordo, infatti, era ancora vivo presso la colonia italiana in Uruguay, paese nel quale il generale visse e combatté nel 1842. Ma l’impresa aveva, secondo Fondacaro, anche uno scopo scientifico: dimostrare l’efficacia dell’olio per calmare il mare in burrasca.
Ecco spiegato il perché dei cento litri di olio a bordo, per placare le violente onde oceaniche in caso di emergenza. I tre marinai partirono il 3 ottobre 1880 risoluti e pronti a tutto, lasciando a terra le difficoltà incontrate nel concepimento dell’impresa e le onte subite da tutti coloro, connazionali e non, che non credevano in questo progetto.
IN TASCA solo la forza dei loro ideali e il coraggio, a bordo una bussola, un barometro e un sestante, tra la diffidenza generale (non venne loro affidata la spada d’oro che il governo uruguayano avrebbe dovuto forgiare in onore di Giuseppe Garibaldi perché il naufragio era dato per certo) e senza l’aiuto di nessuno, i tre marinai italiani mollarono gli ormeggi di Montevideo volgendo la prora alla volta dell’Italia, con il forte desiderio di raggiungere Garibaldi a Caprera.
La traversata, nel «Diario di bordo», è narrata nei particolari: dai pasti frugali alle provvigioni di acqua contenute nel serbatoio, stimate dal comandante in 1000 litri d’acqua dolce.
I NOSTRI TRE connazionali diedero felice compimento alla traversata e, dopo circa cento giorni passati in mezzo all’Oceano, il 9 gennaio 1881, raggiunsero Las Palmas, dove ricevettero i dovuti festeggiamenti. Fecero rotta su Gibilterra e toccarono Malaga. Non potendo proseguire per mancanza di fondi e aiuti, caricarono l’imbarcazione su un vascello inglese e con esso fecero il loro ingresso nel porto di Livorno il 9 giugno 1881.
In patria i tre marinai non ricevettero gli onori sperati e i nostri regnanti dimostrarono di non comprendere appieno il significato di questa straordinaria impresa. Fondacaro, Troccoli e Grassoni caddero di nuovo in ristrettezze economiche. Benchè l’imbarcazione fosse esposta nel laghetto della Villa Reale di Monza e poi all’Arsenale di Venezia, i tre, delusi dall’accoglienza ricevuta, non ebbero alternativa se non quella di riprendere la via dell’emigrazione.
Vincenzo Fondacaro morì, come detto, nel 1893 nell’oceano durante una successiva traversata, Orlando Grassoni si spense nel 1901, poco dopo essere rientrato in Italia, e Pietro Troccoli morì a Montevideo nel 1939.
Dal 1932 la baleniera entrò a far parte del Civico Museo navale didattico di Milano. Nel 1953 l’imbarcazione, oggi proprietà del comune di Milano, fu trasferita nel parco del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, dove rimase fino all’agosto del 1995, anno in cui venne trasportata a Marina di Camerota (Salerno) per essere ricoverata ed esposta al pubblico presso la grotta di Lentiscelle.
Solo il 23 marzo del 2007 riuscimmo a trasferire, con l’ausilio della Guardia di Finanza, la storica imbarcazione a Livorno, presso il Cantiere Old Fashioned Boats di Francesco Crabuzza che aveva ottenuto da Arie l’appalto per il restauro museale”.

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