In Calabria si vendeva tutto, l’acquaiuolo un mestiere sui generis



di Maria Lombardo
Vendere l’acqua era un mestiere un tempo, un mestiere duro e faticoso poiché l’acqua non era presente nelle case solo i ricchi potevano permettersi l’acqua in casa o una cisterna per racccoglierla. Il popolo per bere, cucinare e lavarsi doveva compiere peripezie e duro lavoro. L’acquaiolo era un lusso, un lusso per pochi poiché capitava che doveva trasportare l’acqua a pago per il latifondista o vendeva qualche bottiglia di liquido in casi davvero estremi ai poveracci. Era un mercante girovago in poche parole che lavorava a chiamata e si spostava in tutti i centri dal piccolo a quello più grande.Si organizzava con damigiane adagiate in ceste di vimini e trasportate su un carretto di fortuna trainato a mano o con l’aiuto di un paziente somarello. La sua presenza era annunciata dal rumore del suo carretto e dal suo vociare:”L’Acquaiuooolu… Cù vole ù mbive! Acqua frisca! Cù mbive!”. Di solito questa figura aveva a che fare con casalinghe che si accordavano sul prezzo e poi mandavano giù uno dei figli o facevano scendere un paniere se era ai piani alti. Probabilmente crederete che questo era un mestiere estivo ed invece no l’acqua era venduta tutti i giorni 

specie se l’acquaiolo possedeva una sorgente vicino a cui attingere. Infatti si riusciva a fare un discreto guadagno in quanto l’acqua era un bene primario ed ancora non si vendeva nei negozi. Ecco che ogni giorno si ripeteva la stessa scena e la stessa foga nel mercateggiare il prezioso liquido. L’acquaiolo riusciva ad aromatizzare l’acqua magaro con del limone e quell’acqua così profumata era la più richiesta. Torniamo però all’arrivo dell’acquaiolo da lontano si vedeva arrivare il carretto carico di damigiane e tirato da quest’animale stanco e magari affamato. Vicino al somaro vi era il padrone altrettanto stanco e demoralizzato in quanto per pochi spiccioli girava e girava. Ecco però che vendeva di più nelle feste magari dopo aver attraversato il paese tra caldo e canti, ed era allora che l’acqua e limone era più gettonata. Accadeva poi che diveniva fisso alle stazioni nelle piazze e diveniva “Acquafriscaru” anche se il grido pubblicitario era sempre lo stesso:”Acqua frisca!” Egli lavorava su un banco di legno col piano in marmo ornato da limoni e da grandi boccali pieni d’acqua fresca,resa tale da scaglie di ghiaccio avute dal nivaru;pronti per essere trangugiati dai clienti assetati. Legato alla figura dell’acquaiuolo era anche il detto popolare: “Acquaiuòlu, comm’è l’acqua?”…” Mancu a’ nivi…è frisca e’ ccussì!” utilizzato per sottolineare la retoricità di una richiesta lecita e di una risposta ovvia che qualche volta,a qualche persona amica,permetteva di sorbire gratis la fresca bevanda. Che tristezza ricordare il passato!

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